TASK 2 COURSE I,2 OCI MODULE 2



SILVIA EVANGELISTA GROUP I 2007-05-16




Ethnographic Report by Marilyn Monroe


Marilyn Monroe’s maxims:


1.I don’t care about money, I just wanna be wonderful

2. It is important to know how to be gay even when you are sad

3. The body is meant to be seen not all covered up

4. Sex is a part of nature, I go alone with nature

5. Jokes are funny but not about me

6. Dreams can turn to reality

7. Do always your best

8. Reality isn’t all gold that glitter


My Italian Maxims & Counter-Maxims:


1.Io come italiana: “La famiglia é un punto di riferimento nella vita.”

Io come Marilyn Monroe: “you can live and make a name for yourself even without your family support”


2. Io come italiana: “sposerò l’uomo che amo e resterò con lui tutta la vita”

Io come Marilyn Monroe: “love and marriage are not eternal”


3. Io come italiana: “la fama e il successo non sono tutto nella vita”

Io come Marilyn Monroe: “the fame is my life”


4. Io come italiana: “l’aspetto fisico è solo uno degli aspetti che caratterizzano una persona”

Io come Marilyn Monroe: “I wanna be wonderful”


5. Io come italiana: “non si può essere sempre troppo sicuri di sé stessi”

Io come Marilyn Monroe: “i know i’m a fantasy”


6. Io come italiana: “il denaro è importante e non va sprecato”

Io come Marilyn Monroe: “I’m not interested in money”


7. Io come italiana: “

Io come Marilyn Monroe: “


8. Io come italiana: “

Io come Marilyn Monroe: “


Two maxims are missing. Minus 1 point.



INTRODUCTION.


This Ethnographic Report is written by a person who belongs to the inner circle of English, this person is the actress and singer Marilyn Monroe.

She was born and raised in Los Angeles (California) so she speaks West-Coast American English with a slight Southern Californian accent. She attended School in California until she was 15, when she got married, so she doesn’t write using Academic English characteristics, hence the style of this report is not very linear and formal, there are some colloquial expressions and the work isn’t responsible and objective.


The description of General American and in its Southern California variety needs documentation. Minus 1 point.



REPORT.


I went in Rome because i was starring in a movie by a famous Italian director; I didn’t want to live in a luxury hotel as I usually do but I wanted to have the chance to get familian with the habits of an ordinary Italian family, so I stayed with one of an italian family for one day: Saturday the 12th of May.

I was surprised about their way of living and about their way to relate with each other and with me: they looked at me in a strange and puzzle way as if they didn’t understand what I said and did, they continuously asked me wheter I was crazy or not since they couldn’t understand why i was behaving like that; the mother was greatly surprised when she asked to me to do something that for her was normal, eg. doing the washing up, because she didn’t understand that for me that things were absurd, and she got angry when I innocently asked her: “really?!” .

On the other hand their judgments on my way of expressing, gestures and expressions (even a simple smile) made me sad.

There are a lot of things that made me smile: their way of clothing: Gee!! They wear long pants and t-shirt even when they are at home! They are also very “shy” ‘cause they don’t like wandering around home wearing only underwear (while I think that it’s perfectly normal).

They give too much importance to the value of family; they want and like to eat all together, they ask each other for advices and support, they like to do activities together, one of the daughter (who is 21) still live at home.

Staying with them, I had to speak in italian (that i learned just before coming in Italy) but I noticed a strange thing: even if I spoke perfect italian, they continued to look at me as if I was speaking Chinese, they mocked my way of smiling or simply my way of looking at them or around me, they started to laugh or got annoyed for example when I asked them a question or when I answered at one of their’s: the reactions were very strange and sometimes funny, for example one of the two daughter asked me if I wanted to go with her to do shopping and I answered spontanuesly: “oh yes honey, it would be fantastic!”, she bursted out laughing and suggested me to avoid to call her like that any more; later on I saw the mother who was watering flawers in the garden, I came up to her and asked kindly: “do you need some help my love?”, she looked at me with a furious face and said: “if you don’t stop speaking in this way I’ll belt you!!!!”.

After these particulary reactions I decided to stay in the background to observe them and their way of interacting with them: I relized that they have a strong respect of the parents and they also have a precise family power structure where the father(even if I didn’t meet him) but also the mother are very important.

Moreover I noticed that they give a lot of importance to the money: how and when using it, what it is possible to buy and what not and, above all, why not.

After my confusing but interesting “italian day” I went to bed with two drops of “Chanel n.5”.



Sabato 12 maggio ho trascorso mezza giornata a casa con la mia famiglia ad interpretare il mio doppio: Marilyn Monroe.

E’ stata un’esperienza molto strana e sinceramente devo ammettere di aver trovato molte difficoltà nell’interpretare un personaggio, per molti versi diverso da me, in famiglia cercando di essere convincente.

Ho riscontrato le maggiori difficoltà nel non rivelare loro che stavo svolgendo una task per il mio corso di inglese e nel rivolgermi e relazionarmi con loro in un modo diverso dal normale.

Le reazioni dei miei familiari sono state divertentissime: una delle mie sorelle ha evitato il problema ignorandomi ed evitandomi per tutta la durata del mio “esperimento”; l’altra dopo alcune perplessità ha deciso di venirmi incontro assecondandomi e, prendendomi visibilmente in giro, trattandomi come se fossi stata realmente la sexy Merilyn. Mia madre infine (mio padre fortunatamente non era in casa) dopo aver tentato in tutti i modi di “riportarmi sulla retta via” con domande, attacchi e forti dimostrazioni di preoccupazione, ha concluso che fossi diventata all’improvviso matta.

Alla fine della mia esperienza posso concludere che senza dubbio essa ha avuto un grande valore educativo ma devo anche ammetter e che siamo stati fortemente limitati dall’ambiente scelto per svolgerla. Infatti ritengo che se avessimo interpretato il nostro doppio in u ambiente dove avessimo potuto parlare in inglese e dove nessuno ci avesse preso per matti, sarebbe stato più educativo ai fini dell’apprendimento della lingua inglese.


Mah! Non credo. Con questo lavoro, fatto come l'hai fatto, hai già imparato molte cose importanti rispetto alla lingua inglese (intesa come sedimentazione di un particolare voler dire, prodotto da un particolare voler essere, non come sistema grammaticale e basta).


Vedi, Silvia, se una lingua fosse soltanto parole legate “correttamente” sul piano grammaticale, allora effettivamente non hai imparato nulla dell'inglese, quindi in questo caso ti darei ragione.


Ma tu avrai visto tanti studenti italiani a Londra, ammesso che tu abbia fatto un soggiorno in Inghilterra, formulare frasi grammaticalmente e pragmaticamente corrette, senza con questo riuscire a stabilire un rapport comunicativo efficace con i loro interlocutori inglesi... i quali, in un pub poniamo, continuano ad ignorarli e a rivolgere la parola agli altri inglesi presenti.


Spesso gli studenti italiani che hanno avuto esperienze come queste, tornano in Italia dicendo che gli inglesi sono freddi isolani e basta.


Non si chiedono se la colpa non fosse proprio loro. Cioè se loro – gli studenti italiani – si stavano esprimendo davvero in inglese.


Certo, le loro parole erano parole inglesi. Le regole grammaticali che hanno applicato erano regole grammaticali inglesi. Ma il risultato finale erano pensieri e intenti espressivi italiani, elaborati su modelli comunicativi italiani, e poi realizzati con parole inglesi. In sintesi, questi studenti continuavano a parlare in italiano, anche quando usavano parole inglesi.


I loro interlocutori inglesi avranno sicuramente notato tutto questo. Magari trovavano gli italiani simpatici e pittoreschi, con i loro modi coloriti di esprimersi. Ma non li sentivano vicini a loro. Non veniva la voglia di trattarli seriamente, come persone con cui si possa parlare a cuore aperto perché intanto davano l'impressione, per quanto parlassero in inglese, di stare su un altro pianeta.


Ecco dunque il senso dell'esercizio che hai appena fatto. Voleva insegnarti tante cose, ma una delle cose principali è che esprimerti da inglese (o in questo caso da americana) vuol dire pensare diversamente. Ma non pensare soltanto. Anzi, pensare è la cosa meno importante.


L'esercizio voleva insegnarti che per parlare l'inglese, o qualsiasi lingua, devi cominciare a volere cose diverse rispetto alle cose che vuoi, quando sei te stessa italiana. Sentire la vita in maniera diversa. Volerti relazionare diversamente con i tuoi interlocutori.  Mettere (momentaneamente) tra parentesi i modi di rivolgerti agli altri che hai imparato da italiana.  Mettere invece (momentaneamente) in primo piano e praticare in modo convinto i modi di comportarti con gli altri che caratterizzano gli inglesi, modi che – bisogna riconoscerlo, perché in una certa misura tutto il mondo è paese – practicavi pure da italiana in certe occasioni formali... ma non spesso e comunque senza convinzione, o senza la stessa convinzione, ecco la differenza (e non è poco).


Imparare tutto questo E' IMPARARE INGLESE (nel tuo caso, l'inglese americano della periferia povera di Los Angeles, trasformato tramite l'Actors' Studio e la vita mondana hollywoodiana successiva in General American infarcito con il gergo del show biz). Perché quella lingua esprime, per dare come esempio un solo tratto tra quelli che tu hai colto, “l'arrivismocalvinista, ossia la vita vissuta come una partita che devi vincere quasi per salvarti l'anima, il che colora costantemente il tuo modo di esprimerti – oppure non è l'inglese americano di Marilyn e del suo ambiente.  Tu puoi anche condannare l'arrivismo, come a tratti fai, ma lo esprimi comunque, persino nelle espressioni che usi per condannarlo. Ecco perché tu hai (giustamente) scandalizzato la tua famiglia.  Dalle tue parti (Anguillara, no?), il “mettersi in avanti” viene visto con sospetto.


Mentre parlavi in italiano a casa, stavi in realtà parlando l'inglese di una provincialotta californiana che arriva al successo senza capire troppo i meccanismi della società che sta per ingoiarla e che vive il sogno americano come se fosse vero.   Ed è quello che esprimevi molto bene durante l'intervista che noi due abbiamo fatto per il tuo esonero orale. In quel caso usavi parole inglesi – è vero – mentre a casa tua usavi parole italiane. Ma quello che dicevi – esistenzialmente, attraverso le tue affermazioni – era lo stesso in entrambi i casi.


QUESTO è parlare inglese americano (di un certo tipo). Vedi? Non importa se le parole sono in italiano. Perché come dicevo, una lingua, essenzialmente, non è parole+sintassi ma un certo modo di voler dire che emana da un certo modo di voler essere.


Per questo motivo non sono d'accordo con la tua ultima conclusione. Io ritengo che sì, stavi imparando l'inglese mentre passavi la giornata a parlare in italiano. Stavi imparando proprio le cose che ti consentiranno, se un giorno parlerai con altri californiani in un bar, di essere ascoltata come uno di loro, invece di essere ignorata o trattata sotto gamba o considerata come persona pittoresca – come gli studenti italiani in Inghilterra che ho descritto prima, quelli che sapevano perfettamente la lingua inglese insegnata a scuola, sia sul piano lessicale che sul piano grammaticale – e basta.


Ma per convincerti di tutto questo, forse non devo far altro che citare le parole di Matteo, a conclusione del suo Report sul passare una giornata come il suo doppio (nel caso di Matteo, Samuel Beckett):


Lo stesso giorno al ristorante dove lavoro, a task concluso, sono venuti a mangiare una coppia di inglesi che avranno avuto circa una sessantina di anni.

Anche se sul lavoro ero tornato a essere Matteo, una piccola parte di me era rimasta a poche ore prima e così il mio comportamento con loro è stato diverso da come sarebbe stato solitamente, il mio modo di parlare, di gesticolare, di ascoltare soprattutto, automaticamente per pochi secondi senza che me ne accorgessi ho cercato di vedere con i loro occhi, di ascoltare con le loro orecchie, ricordandomi che parlare una lingua vuol dire essere parte integrante di essa, della cultura che e’ alle sue spalle, delle sue abitudini, delle sue origini, del suo essere.

Credo sia stata una delle pochissime volte, forse la prima, nella quale abbia veramente parlato inglese, nonostante le parole che a volte non comprendevo, quelle che sbagliavo, la pronuncia imperfetta, tutto questo e’ diventato sfumatura, cornice, e ci siamo capiti perfettamente tanto che il risultato alla fine e’ stato più che soddisfacente, ben al di là di una comprensione grammaticale.

Questa piccola parentesi e’ la miglior spiegazione al task, in quanto la sua applicazione nella vita di tutti i giorni e’ arrivata spontanea e immediata, nel momento in cui non me lo sarei mai aspettato a poche ore di distanza da quello che mi sembrava un compito assurdo.


A tutto questo va ad aggiungersi anche l'apertura mentale verso le culture diverse – requisito fondamentale per un mediatore interculturale – che dà questo Task. Come scrive Luca (che è stato Tony Blair per un giorno):


Tutta la preparazione di questo lavoro mi ha fatto anche capire che nonostante appaiano distanti, le due culture prese in esame (italiana e inglese) possono comunque trovare un punto di contatto che permette loro di interagire. Punto che deriva dagli sforzi bilaterali di trovare elementi della propria cultura nell’altra e di fare proprie quelle massime dell’altra cultura cha al primo impatto possono sembrare molto lontane.

Questa è un’attività che, anche divertendosi, permette di capire più a fondo una cultura che non è la propria e di esaminare fatti e persone sotto un’ottica diversa. Cioè quella della loro cultura. Il che ci permette di iniziare a comprendere fatti che noi potremmo giudicare ‘strani’ se non fossimo a conoscenza dei valori e delle massime che guidano le persone di una data cultura.

Questo tipo di attività può anche tornarci utile, secondo me, per capire e criticare cose della nostra stessa cultura che noi diamo per scontate o giuste, ma che magari viste dall’ottica di una persona esterna non lo sono, con la possibilità di cambiarle e magari di migliorarle.


Vedi, Silvia, tu dici che avresti voluto invece passare la giornata con Americani, magari andando di nuovo a Trinity College, piuttosto che passarla in famiglia, a casa tua.  E ti posso pure capire – del resto l'uno non esclude l'altro.    Ma se vuoi solo la giornata a Trinity e non la giornata a casa, allora ti dico che rischi di fare una “fuga in avanti”.  Cioè rischi di “scappare in America” senza aver fatto i conti con il tuo passato italiano.  E questo errore lo pagherai in seguito con un disorientamento profondo (che potrebbe pure star bene a te-come-Marilyn, ma non a te-come-Silvia). 

In pratica, devi fare il lavoro che Luca descrive, ossia unire i due mondi dentro di te.   Solo allora avrai il beneficio che da sempre si dice a proposito dell'apprendimento di altre lingue, ossia una vera apertura di prospettive, poiché sei capace di vedere un stesso oggetto da almeno due punti di vista diversi, di sentirlo e di volerlo in due maniere diverse. (E speriamo che impari altre lingue pure, per vedere e sentire e volere quel oggetto da una molteplicità di punti di vista diversi.   Ecco il vero requisito di un mediatore interculturale:)


Concludo ricordando l'inventore di questo modo di “indagare sulla realtà quotidiana”, ossia Harold Garfinketl, padre dell'Etnometodologia. Ha chiamato questo metodo, che praticò sin dal 1960, “breaching experiments”, ossia sperimentazioni sui sensi taciti (non confessati) che la società attribuisce alle sue istituzioni e alle sue forme verbali, sensi che vengono fuori semplicemente attraverso la non-osservanza dei rituali (breach = fare breccia in).


Harold Garfinkel, Studies in ethnomethodology, Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall, 1967.

Garfinkel became well known for his use of breeching experiments.  In breeching experiments, researchers violate normal codes of behavior and observe the reaction of the subjects as they attempt to reestablish order or make sense of the situation.  Garfinkel's students used breeching experiments to illustrate the basic principles of ethnomethodology. An example is the boarder [ = ospite a pagamento, locatario] assignment in which students imagined that they were boarders or guests in their own homes and acted in ways congruent with this identity.  Family members were often perplexed by such behavior and expressed emotions which ranged from shock to anger.  They often tried to make sense of the situation and reestablish order [thus revealing their tacit values] by demanding explanations for such strange behavior. According to ethnomethodologists, these reactions illustrate the importance of how individuals [hold a culture together through their everyday activities, that is, by] acting according to the common-sense principles of how they are supposed to act.

-- http://www.bookrags.com/Harold_Garfinkel