BOZZA DI DOCUMENTO PROGRAMMATICO


GRUPPO 3 – SVILUPPO E LAVORO/TURISMO E COMMERCIO





La situazione dell’economia regionale


Da tempo la propaganda del centro-destra tenta di accreditare presso l’opinione pubblica l’immagine del Lazio “locomotiva” dell’economia nazionale.

Il Lazio è una Regione particolare, perché comprende territori molto diversi: la stessa città di Roma – le cui risorse produttive e culturali sono di gran lunga superiori al resto del territorio regionale – nasconde al proprio interno sacche di povertà e nuove forme di esclusione, precarizzazione e disagio sociale. Questi problemi sono poi molto più difficilmente leggibili, rispetto a pochi decenni fa. Oggi il problema non è solo quello di ottenere la piena occupazione, ma la capacità di creare buona occupazione. Oggi il problema non è solo la crescita del reddito e dei consumi, ma la capacità di promuovere uno sviluppo sostenibile e di qualità. Ne consegue – innanzitutto - che bisogna fare estrema attenzione se si vuole analizzare la situazione congiunturale e strutturale della Regione Lazio, attraverso la lettura di dati statistici aggregati. Il rischio è quello di affrontare i problemi in maniera troppo riduttiva: “la Regione sta andando bene… la Regione sta andando male…”. Il problema non è attribuire un punteggio o stilare una classifica.

Prendendo in considerazione i principali indicatori macroeconomici, emerge, tuttavia, un quadro che è pleonastico definire preoccupante.

Per quanto concerne la crescita, il Lazio è seconda regione italiana per contributo alla crescita nazionale, ma solo decima per PIL pro capite. Inoltre è netto, nel medio periodo, il rallentamento della nostra economia, tanto che l’incremento del PIL dell’ 1,8% del 2002 si riduce allo 0,6% del 2003, peraltro concentrato nella Capitale. Il contributo alla ricchezza nazionale perde terreno, come sia Banca d’Italia che l’Agenzia Sviluppo Lazio non mancano di rilevare.

In termini di prospettiva, il prodotto interno lordo, pur tenendo conto dei dati positivi del passato, non potrà avere un aumento consistente, di fronte a crisi settoriali sempre più significative e agli aumenti dei prezzi generalizzati.

Il trend di crescita quantitativo dell’occupazione ha subito, negli ultimi anni, un consistente rallentamento solo parzialmente mitigato dall’ormai generalizzato ricorso al lavoro temporaneo e precario che finisce per falsare gli stessi risultati statistici.

A questo si aggiunge la demotivazione nella ricerca di lavoro: emblematico è quanto è accaduto nel terzo trimestre del 2004 quando la riduzione (-0,3) del tasso medio di disoccupazione è stato determinato da una riduzione (-2.000 unità) degli occupati, e da una riduzione maggiore (-11.000 unità) di coloro che cercano lavoro.

Altrettanto negative sembrano essere le previsioni su consumi e investimenti. Si registra un rallentamento dei consumi e un’analoga tendenza degli investimenti. La Banca d’Italia, stima una riduzione degli impieghi bancari della Pubblica Amministrazione del 1,7% e un rallentamento della concessione di prestiti con un calo drastico nel settore industriale pari al 18,7%, non compensato dalla crescita nel settore dei servizi.

Anche il capitolo export desta grande preoccupazione in considerazione del calo complessivo registrato nel 2003 pari al 11,4% (12,2% per Banca Italia), ma specificamente al vero e proprio crollo delle esportazioni nel settore industriale (-12%) e delle sue componenti più importanti per peso sul totale dell’export del Lazio (circa il 70%) quali l’aerospazio (-65%), l’elettronica (-11,9%) e il chimico farmaceutico (-5,6%). Infatti la svalutazione del dollaro e la concorrenza asiatica e dei paesi dell’est, colpisce le imprese del Lazio più della media nazionale, perché più di altri competiamo su settori maturi.





Le responsabilità del Centro-destra


In realtà la Giunta Storace, in maniera non dissimile dalle politiche nazionali, ha abbandonato qualunque idea di programmazione e di sostegno dello sviluppo, affidandosi alla spontaneità del mercato e riportando in auge la logica dei finanziamenti a pioggia e le pratiche clientelari.

Questo ha amplificato e portato alle estreme conseguenze fenomeni che erano già in atto nell’economia regionale, determinando:


Questa situazione settoriale ha avuto un impatto diverso sui territori delle province del Lazio, colpendo prima le più deboli storicamente: Rieti e Viterbo e successivamente anche Latina e Frosinone, acuendo ulteriormente il divario con la Capitale che, pur tra mille difficoltà, continua a registrare accettabili livelli di crescita.

Nonostante nell’analisi economica e sociale siano identificate le suesposte situazioni di difficoltà, sia territoriale che di settori del sistema produttivo e del terziario avanzato, la Giunta Storace non ha messo in campo alcuna iniziativa, affermando che la Regione non ha strumenti per attuare politiche anticongiunturali.

Non si è valutata, ad esempio, l’opportunità di un utilizzo del Fondo unico per le imprese alternativo ad una distribuzione ragionieristica, in alcuni casi illogica, dell’incremento delle risorse.

Né si è provveduto a concentrare e integrare la pluralità degli interventi indirizzandoli nelle aree di difficoltà, tant’è che anche nell’ultima previsione gestionale restano nettamente distinti gli interventi da realizzare con le risorse dei vari fondi strutturali europei, senza alcun punto di contatto ne integrazione delle risorse.

La conseguenza di tali comportamenti è che vi sono situazioni di crisi che non vengono assolutamente governate:

  1. è di estrema gravità che i 25 milioni di euro stanziati per la crisi Fiat di Cassino siano stati a spesi solo in minima parte con effetti, finora, nulli e lasciando quel territorio privo di prospettiva.

  2. la superficialità e l’arroganza con la quale la Giunta ha affrontato la gravissima situazione di crisi dell’area industriale di Rieti ha lasciato quella Provincia in una situazione peggiore dell’anno precedente, aggravata dalle recenti notizie di non mantenimento del sito produttivo dell’ ALCATEL;

  3. La Legge sui Distretti industriali, approvata con il determinante contributo dell’opposizione che ne ha migliorato sostanzialmente i contenuti grazie anche a numerosi confronti con le parti sociali, continua ad essere finanziata con risorse assolutamente insufficienti. A tutt’oggi, gli unici progetti finanziati sono quelli di alcune aziende di Civita Castellana, peraltro senza alcuna logica di distretto.


Così come è impossibile valutare i risultati delle risorse per lo sviluppo e il sostegno alle imprese, alla ricerca e all’innovazione, risorse disarticolate e disperse in mille rivoli nei vari Enti strumentali della Regione. Una miriade di Istituti, Agenzie, Società di nuova creazione che in molti casi svolgono attività duplicando compiti di altri Enti o sottraendo ruoli e competenze agli Enti locali, senza monitorare l’utilizzo delle risorse e rimodulare procedure e quantità economiche sulla base dei risultati raggiunti e degli obiettivi di sviluppo territoriale.

A questa criticità si affianca una non accettabile lentezza nei procedimenti di selezione dei progetti presentati ed erogazione delle risorse. Basti pensare che nel 2004 solo il 48,7% delle risorse è stato impegnato, il 20,7% è stato messo in pagamento e solo il 7% effettivamente liquidato.

Così come gli investimenti per i lavori pubblici sono impegnati al 30,3% e quelli dell’edilizia sanitaria al 29%. In questo settore le politiche regionali e quelle del Governo nazionale risultano in totale coincidenza: nessuna delle quindici grandi opere promesse con la legge obiettivo è mai iniziata, privando il Lazio di infrastrutture strategiche per lo sviluppo.





Le proposte del Centro-sinistra

La conseguenza di questo non governo dell’economia ha prodotto un divario sempre maggiore tra aree più forti (Roma) ed aree meno forti (le altre province) del territorio regionale.


Alla fine della legislatura cinque indicatori:



ci confermano, ormai, una Regione a due velocità di crescita.


Un’economia duale è complessivamente più debole ed infatti, negli ultimi anni, il Lazio perde tre punto di vantaggio competitivo rispetto alla media nazionale.


Quindi, a questo modo di gestire vogliamo opporre la nostra candidatura a governare con un programma credibile. Un programma che tragga ispirazione dai grandi strumenti di politica economica delineati dall’UE che proponga un nuovo ciclo di sviluppo fondato su:

Un progetto che rilanci, attraverso la programmazione, un’idea di sistema economico integrato regionale, in grado di assicurare uno sviluppo equilibrato, di potenziare il decentramento e sollecitare il protagonismo degli attori locali, istituzionali e sociali.



Vogliamo che siano proprio gli attori locali a formulare il loro giudizio su questo programma e sulla sua attendibilità.

Il primo punto dal quale muovere è la consapevolezza che debbano essere le imprese e le parti sociali protagoniste dello sviluppo, per creare lavoro e ricchezza nella convinzione che si sta ormai esaurendo un ciclo economico e che và ripensato complessivamente un nuovo modello di sviluppo, meno dipendente dalla spesa pubblica e che abbia nella sostenibilità ambientale e sociale il suo carattere distintivo.

Questo concetto deve diventare l’orientamento per la politica economica, il baricentro ispiratore dell’attività legislativa regionale e la guida dell’attività amministrativa.

Con la riforma del regime dei fondi strutturali conseguente all’allargamento a 25 dell’Unione Europea, le Regioni hanno acquisito ampie discrezionalità nell’individuare gli obiettivi.

E in questo quadro particolare rilievo assume la ricostituzione di un coordinamento degli enti e delle società strumentali, superando dualismi e sovrapposizioni, nel contesto di una riforma complessiva dei sistemi di aiuto.

Occorre inoltre una visione strategica dell’organizzazione del territorio che consideri una priorità economica la creazione di convenienze all’insediamento di nuove imprese sia manifatturiere che di servizi.

Serve quindi una politica regionale in materia di urbanistica, infrastrutture, ambiente, trasporti, reti immateriali che guardi all’interesse generale e ad ottimizzare la capacità competitiva del sistema locale.


In questo senso l’asse strategico da perseguire è quello della ricerca e dell’innovazione, per assicurare qualità nello sviluppo e nel lavoro, posto che è ormai dimostrato che competere sul prezzo anziché sulla qualità dei prodotti e dei servizi non paga, e determina la perdita di quote di mercato e occupazione.


Per questo ci proponiamo di realizzare ogni anno una Conferenza trilaterale (Istituzioni e parti sociali) per verificare l’attuazione di queste politiche e proporre gli eventuali correttivi.




RICERCA e INNOVAZIONE


L’idea di sviluppo sostenibile postula l’esigenza che l’azione del centro sinistra sia orientata ad incentivare, promuovere e favorire i comportamenti eco-efficienti nel mercato e nel sistema economico e sociale.

Incentivare la prevenzione dell’inquinamento e l’uso responsabile delle risorse stimola un circuito virtuoso all’innovazione tecnologica e facilita la riprogettazione dei prodotti, dei processi e dei sistemi organizzativi.

La Regione può aiutare le imprese a competere sulla qualità e nei settori a più forte valore aggiunto se:


In una economia della conoscenza le risorse europee, che probabilmente saranno ridotte rispetto al passato, devono essere concentrate su filiere e settori per favorire specializzazioni, capacità competitive, costruendo un rapporto più stretto tra imprese del Lazio e sistema della ricerca e della formazione.

Il forte calo di brevetti pari al –31,1% nel periodo 1996/03 contro il dato nazionale del -12,1% dimostra che malgrado nella nostra regione siano fortemente concentrati enti di ricerca pubblica, quote di finanza pubblica dedicate e numero di ricercatori, tuttavia il rapporto con l’economia locale e la sua esigenza di innovazione è pressoché nullo.

Per questo riteniamo utile l’approvazione di uno specifico strumento legislativo che:


ACCESSO AL CREDITO


In considerazione delle recenti analisi di Bankitalia che segnalano una preoccupante contrazione del risparmio e degli impieghi nel Lazio, la Regione si impegna a sostenere le iniziative parlamentari finalizzate alla difesa dei risparmiatori. Inoltre, per quanto di propria competenza, opererà per orientare maggiormente il sistema bancario nel sostenere lo sviluppo delle piccole e medie imprese presenti nel territorio.

Le piccole e medie imprese vanno sostenute finanziariamente nei percorsi di crescita e innovazione, soprattutto con appositi interventi nei processi di formazione del capitale diffuso di rischio e sul sistema di garanzie necessarie per l’accesso al credito in coerenza con gli accordi di Basilea 2.

In questo senso sarà rivolta la massima attenzione verso l’erogazione del credito, visto che è innegabile che le piccole imprese e le famiglie, oggi, sono vistosamente penalizzate nell’accesso al mercato creditizio.

Andrà profondamente riconsiderata la scelta operata dalla Giunta di centro-destra, consapevoli che non abbiamo bisogno di un ulteriore Istituto bancario, ma di un sistema efficiente di raccordo che, in previsione dell’attuazione di Basilea 2:





MARKETING TERRITORIALE


In tema di concertazione con gli enti locali, è necessario promuovere politiche di marketing territoriale.

Il marketing territoriale non è la promozione turistica o quella dei prodotti tipici, ma rappresenta piuttosto l’invito ad investire risorse sul nostro territorio per insediare attività produttive e promuovere iniziative economiche.

E’ quindi una politica centrale per lo sviluppo e l’occupazione, nel contesto di un mercato dei capitali globalizzato.

La Regione ha il compito di orientare a tale scopo tutti i settori del governo regionale, in particolare per garantire certezze sui tempi di autorizzazione degli interventi e sui supporti infrastrutturali, rilanciando e sostenendo la realizzazione degli sportelli unici per le imprese nelle amministrazioni locali.

E’ questo tipo di marketing, orientato allo sviluppo, che la Regione deve fare, assistendo le imprese nelle attività di internazionalizzazione, ma soprattutto assicurando la certezza delle procedure e delle regole per chi viene ad investire.

Queste grandi politiche “orizzontali” devono innervare le strategie di crescita da attuare nei diversi settori merceologici, indicando i macro obiettivi che definiscono il nuovo modello sviluppo.


LE POLITICHE SETTORIALI


In sintesi e molto schematicamente:


  1. Ricostruire un’economia del SETTORE PRIMARIO attraverso:



2) Rilanciare e riqualificare il SETTORE INDUSTRIALE in particolare puntando sulle filiere più forti per produttività-competitività, dimensione di impresa, numero di addetti, per capacità innovative, per processi di internazionalizzazione.

Queste filiere hanno consolidati insediamenti territoriali in aree della regione ed in relazione a loro si è sviluppato un forte e qualificato indotto di piccole imprese; è per questo che non va abbandonata l’idea dei distretti e dei sistemi produttivi locali, è necessario, invece, puntare ad una loro evoluzione in veri e propri cluster, nei quali migliorare il grado di specializzazione produttiva, il grado di complessità e di integrazione per ampliarne il rilievo economico e strategico.


3) Innovare e selezionare il SETTORE TERZIARIO, consapevoli che è in questo che si gioca il futuro dell’economia regionale e della qualità della vita. Anche in questo caso sarà necessario partire da alcune filiere:

nelle quali sviluppare le politiche di innovazione, differenziazione ed integrazione del prodotto-servizio, potenziamento ed aggregazione della dimensione di impresa, accesso ai capitali di rischio, esercitando il controllo pubblico nei settori di pubblica utilità


Inoltre non è possibile dimenticare che nel terziario del Lazio insistono le grandi imprese dei servizi collettivi di pubblica utilità (energia, acque, trasporti, rifiuti, ecc.). Queste aziende sono ancora in una condizione molto contraddittoria sul piano legislativo e regolamentare, dovuta a ritardi del Parlamento e del Governo, che le porta ad oscillare tra apertura al mercato ed affidamento “in house”, tuttavia rappresentano un potenziale rilevante.


La massa critica (volume investimenti, numero di addetti, potenzialità delle reti e dei mercati), i risultati (+ 20% fatturato, produttività e redditività), le minori tendenze alla finanziarizzazione, la quantità e qualità dell’indotto attivato, le prime positive esperienze di internazionalizzazione, l’essere aziende di servizio strettamente legate al territorio e, contemporaneamente, avere la potenzialità per sviluppare vocazioni industriali ad alto contenuto tecnologico, ne fanno un volano di sviluppo per l’intera economia regionale.


La Regione dovrà esercitare la propria funzione di programmazione, regolazione e controllo per quel che riguarda la quantità-qualità del prodotto-servizio e al tempo stesso sostenere la nascita e la diversificazione di un ramo industriale quale occasione di innovazione e di rilancio del più complessivo sistema produttivo.



TURISMO


Premessa:

Nel corso degli anni ’90 il turismo verso Roma ha subito una metamorfosi:



Il Giubileo ha rappresentato il culmine di questa metamorfosi.

A ciò aggiungasi le turbolenze internazionali contingenti, ma ripetute nel tempo (terrorismo, guerra in Medio Oriente, SARS) e soprattutto una condizione strutturale di medio periodo per il cambio sfavorevole Euro/Dollaro.

Tutto ciò ha determinato, dopo il Giubileo, la crisi del settore con una contrazione più qualitativa che quantitativa negli arrivi e con riduzione dei giorni di permanenza.

Anche in questo caso è necessario sfruttare la nuova congiuntura favorevole di Roma nel 2004 per riformare profondamente il settore e per rilanciare l’intero territorio regionale attraverso sei azioni positive.



1a AZIONE

Da Roma al Lazio: un sistema regionale più equilibrato per diventare più competitivi.



Partendo dalla consapevolezza che le risorse diffuse possono rispondere ad una crescente domanda di turismo ambientale (i parchi), culturale (centri storici, rocche e palazzi baronali), religioso (le abbazie, i siti del monachesimo), termale, itinerante, marino e lacuale, l’obbiettivo è quello di costruire una rete turistica regionale.

Pertanto la Regione deve approvare rapidamente una legge quadro per il settore che:



2a AZIONE


Un sistema più flessibile ed articolato per un mercato più incerto.



Se cambiano i flussi turistici in quantità e qualità è necessario:

  1. continuare ad occupare il mercato internazionale, con particolare attenzione ai nuovi targhet (cinesi), qualificando e differenziando l’offerta nel segmento alto (4/5 stelle);

  2. aggredire i nuovi mercati europei e nazionali con un’offerta di medio livello:


3a AZIONE


Un sistema specializzato, ma non monofunzionale


Ci sono tanti “turismi” che vanno valorizzati, ma abbiamo bisogno di un capofila che poggi saldamente sul punto di forza del patrimonio culturale e ambientale.

In questa scelta è giusto orientare il lavoro dei soggetti pubblici e privati, fornendo sostegni e strumenti per integrare e rendere più accessibile l’offerta, puntando ad ampliare un targhet ancora molto limitato per età e per disponibilità di reddito e di cultura.

Dobbiamo superare il gap che ancora tiene lontani tanti giovani e tanti anziani dalla conoscenza del nostro straordinario patrimonio culturale.



4a AZIONE


Un sistema più integrato nella MISSION, ma più articolato nell’attività.


Nel settore prevale ancora un eccesso di competizione e di conflittualità tra le istituzioni pubbliche (Ministeri – Comuni) e tra queste ed i gestori privati.

Sarà necessario realizzare Accordi di Programma con capofila le Province ed i Comuni creando vere e proprie aree turistiche integrate con la capacità di proporre una forte differenziazione dell’offerta.

Nel quadro degli accordi sarà più facile:



5a AZIONE


Un sistema regolato che offre stabilità e riceve qualità


Questo è un settore ad alta intensità di lavoro e quindi la qualità delle risorse umane è parte della qualità complessiva.

Purtroppo, negli ultimi anni, si sono avviati processi di esternalizzazione di diverse attività con un aumento della precarietà lavorativa a scapito della qualità dei servizi.

Le direttrici di intervento debbono essere due:



6a AZIONE


Un sistema di accoglienza integrato ed efficiente


Indispensabile per la crescita del sistema sono le vie d’ accesso, è necessario:


La nascita della nuova Fiera di Roma e del nuovo Centro Congressi saranno il polo di attrazione per il turismo di affari e quello scientifico – congressuale.




COMMERCIO


Il clima di incertezza sui tempi e sull’entità della ripresa economica, congiuntamente all’aumento del costo della vita, hanno profondamente influito sui consumi dei cittadini del Lazio con una consistente riduzione delle vendite (- 6%).


Riduzione consistente per i beni non alimentari e più contenuti per quelli alimentari con una maggiore propensione dei cittadini a rivolgersi, negli acquisti, al sistema della grande distribuzione perchè ritenuto più competitivo in termini di prezzi.


Tuttavia la flessione delle vendite non ha fermato l’ampliamento del tessuto distributivo (con l’eccezione delle province di Rieti e Viterbo) con un incremento delle imprese, anche se caratterizzato da un alto tasso di turn over, soprattutto nella piccola distribuzione. Inoltre, negli ultimi anni, il settore ha registrato un forte incremento di lavoro irregolare.


Anche in questo settore la funzione della Regione in materia di programmazione e di regolazione acquista una funzione strategica, anche al fine di sostenere i comuni nella pianificazione territoriale. E’ pertanto necessario:





OCCUPAZIONE




Il mercato del lavoro regionale presenta una situazione preoccupante sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo. Infatti le percentuali di crescita occupazionale si riducono anno dopo anno e l’indiscriminato ricorso a forme di lavoro precario falsano ormai gli stessi risultati statistici. Inoltre continuano a permanere tutti gli elementi di caratterizzazione negativa in particolare:


La scelta deliberata della Giunta di centro-destra di abbandonare la funzione di programmazione e di coordinamento, ha nei fatti impedito la creazione di un sistema di incontro domanda-offerta con l’indispensabile raccordo con le politiche formative. Tutto ciò ha amplificato l’effetto delle scelte deregolatrici nazionali (vedi legge 30/03, non riforma degli ammortizzatori sociali) ha prodotto notevoli distorsioni della struttura occupazionale.

Diversamente la coalizione di centro-sinistra intende collocare il Lazio nell’alveo delle più generali politiche europee finalizzate al raggiungimento degli obiettivi di piena e buona occupazione e di lotta all’esclusione lavorativa e sociale. Per questo dichiariamo fin d’ora la nostra contrarietà all’ipotesi della cosiddetta “direttiva Bolkstein” che, prevedendo la possibilità da parte dell’impresa straniera di applicare la legislazione del Paese di provenienza, “balcanizzerebbe” ancor più il mercato del lavoro.

E’ necessario, quindi, cambiare l’ottica di riferimento, riaffermare il ruolo delle politiche pubbliche sia attraverso un quadro di programmazione sia attraverso interventi mirati:


In particolare, al fine di ampliare le possibilità di occupazione ai disoccupati di lunga durata e agli espulsi precoci dal ciclo produttivo, andrà data piena attuazione alle disposizioni legislative che prevedono il superamento dei limiti di età per l’accesso alla pubblica amministrazione, facendo leva esclusivamente sui requisiti individuali.


Per il raggiungimento di tali obiettivi sarà necessario concorrere alla profonda revisione della legislazione nazionale, con particolare riferimento alle recenti norme introdotte dalla legge 30/03 e da quelle in materia di istruzione e di immigrazione.

In attesa che ciò si verifichi la Regione deve impegnarsi ad affrontare con propri provvedimenti e proprie risorse il problema dell’esclusione sociale e della disoccupazione di lunga durata attraverso l’introduzione di uno strumento di sostegno al reddito (reddito di cittadinanza) che offra una copertura “di base” volta a garantire condizioni di vita dignitose.

Tale misura potrebbe essere realizzata attraverso un mix di erogazione economiche, facilitazioni all’accesso ai pubblici servizi, forme di sostegno alloggiativi e formazione professionale per facilitare il reinserimento lavorativo.

Per quanto riguarda, invece, i giovani in particolari condizioni di difficoltà, andranno studiate, accanto alle politiche attive del lavoro (servizi per l’impiego, formazione, ecc.), forme di sostegno che facilitino all’accesso allo studio ed ai consumi culturali (reddito d’inserimento).

Del resto, già nell’attuale legislatura l’opposizione, d’intesa con le OO.SS. confederali, aveva promosso l’approvazione da parte del Consiglio regionale della legge n° 27/03 “interventi regionali a favore dei lavoratori parasubordinati” come primo, ancora parziale, strumento di sostegno ai periodi di interruzione del rapporto di lavoro. Purtroppo, le scarse risorse destinate dal bilancio regionale ed il sostanziale boicottaggio dell’Assessorato, ne hanno impedito la reale applicazione.

In particolare, per combattere l’indiscriminato ricorso all’utilizzo delle forme di lavoro precario, non giustificate dalla temporaneità della prestazione d’opera, ci proponiamo di intervenire sia all’interno dell’Amministrazione regionale che presso le strutture collegate e controllate, al fine di affermare il principio che a posto di lavoro stabile corrisponda occupazione stabile.

Tali “buone pratiche” da un lato possono rappresentare un punto di orientamento e di riferimento anche per altre autonome amministrazioni pubbliche, dall’altro possono essere progressivamente introdotte quali criteri di selezione per l’accesso di privati alla fornitura di opere pubbliche e servizi di pubblica utilità. Va in questo senso anche la progressiva introduzione, nei diversi settori, della cosiddetta “clausola sociale”, che garantisce le quantità occupazionali ed il rispetto delle normative contrattuali nel passaggio di appalto.

La giusta lotta contro il fenomeno della precarietà, non vuol dire negare forme di flessibilità del lavoro pubblico e privato finalizzate alla realizzazione di specifici progetti, temporalmente definiti o a contingenti condizioni di mercato.

Anche in questo particolare campo la Regione dovrà esercitare una funzione di indirizzo e di regolazione, tesa a facilitare l’incontro tra le esigenze di flessibilità delle imprese e l’autonoma scelta del lavoratore in relazione alle sue necessità ed aspirazioni. In ogni caso sarà comunque necessario:


Occorre la predisposizione di piani pluriennali e annuali per le politiche attive del lavoro, integrati con i piani della formazione e dell’istruzione, attraverso la definizione di specifici progetti, e la contestuale determinazione delle risorse, per favorire l’occupabilità e l’occupazione delle donne, dei giovani e degli immigrati.

Solo in questa dimensione acquistano ruolo e rilevanza i nuovi servizi pubblici per l’impiego:

Analogamente è necessario definire ed elevare qualitativamente gli standard ed i criteri per l’accreditamento delle strutture private che si candidano alla erogazione dei servizi, al fine di costruire un sistema a rete pubblico/privato in grado di realizzare una vera e propria “borsa continua” del lavoro regionale. La cabina di regia di questo sistema deve essere di natura pubblica.

Purtroppo il Lazio “vanta” il 17,7% di presenza del fenomeno del lavoro irregolare, un primato negativo, superiore del 2,4% rispetto alla stessa media nazionale. Di fronte a tale situazione, che mina complessivamente l’economia regionale e che penalizza sia il lavoro che l’impresa sana, il centro-destra non ha fatto nulla. E’ necessario invece:


L’impegno sulle politiche generali di regolazione del mercato del lavoro, non può far dimenticare la necessità di dare soluzione ad annosi problemi tuttora irrisolti. In particolare ai circa 3500 LSU presenti nella nostra regione, per i quali la soluzione va ricercata attraverso il sostegno regionale anche alla creazione di società di scopo a carattere consortile e a maggioranza pubblica finalizzate all’effettuazione di servizi di pubblica utilità, con il coinvolgimento attivo delle amministrazioni locali interessate.



Disabili e il lavoro



Il principio di fondo da rendere effettivamente esigibile è quello del “collocamento mirato”, il quale implica il diritto del soggetto disabile di essere inserito in un contesto lavorativo il più possibile confacente alle capacità, esigenze ed attitudini possedute.

Fondamentale appare quindi appare il ruolo dei servizi per l’impiego e, conseguentemente, del corretto ed efficace utilizzo delle risorse finanziarie finalizzate alla creazione di un vero e proprio sistema di collocamento mirato, nel quale Enti locali, centri per l’impiego, centri di formazione, strutture sanitarie e soggetti privati, in particolare appartenenti al settore dell’associazionismo no profit e della cooperazione sociale, formino una rete integrata e sinergica di assistenza e accompagnamento al lavoro e al pieno inserimento sociale.


Nello specifico, inoltre, bisognerà finalmente attivare tutte le risorse disponibili per l’inserimento al lavoro dei disabili, riorganizzando con le Province il sistema degli incentivi alle assunzioni dei disabili gravi (art. 13 L. 68/99), intervenendo per favorire la diffusione sul territorio di un sistema di servizi integrato, in cui le strutture sanitarie diventino parte integrante della rete e svolgano un ruolo finalmente trainante per il collocamento mirato. A tal riguardo si dovrebbe favorire, con un’adeguata regolamentazione, l’attuazione delle disposizioni di cui al D.P.C.M. 13 gennaio 2000, contenente l’atto di indirizzo in materia di collocamento obbligatorio dei disabili, rimaste a tutt’oggi completamente inattuate.


La Regione, inoltre, dovrebbe farsi promotrice di un’azione di forte sensibilizzazione nei riguardi delle pubbliche amministrazioni, al fine di incentivarle all’assunzione di disabili e al rispetto tassativo degli obblighi di legge.


Molte le iniziative che potrebbero essere intraprese anche in materia di formazione mirata all’inserimento al lavoro dei disabili, con particolare riguardo ai soggetti non vedenti, per i quali il Ministero del Lavoro ha emanato un decreto che prevede, in attuazione di una disposizione della legge 144/97, l’istituzione di nuove qualifiche professionali, per le quali però non risulta che la regione Lazio si sia attivata in alcun modo.




Immigrazione


Secondo l’annuale rapporto della Caritas, unica credibile fonte di riferimento, all’inizio del 2004 erano circa 363 mila le donne e gli uomini provenienti da paesi non aderenti all’Unione Europea, presenti sul territorio regionale con regolare permesso di soggiorno. A questi vanno ad aggiungersi i 124 mila che attendono di veder risolta la procedura di regolarizzazione. In definitiva una presenza forte, seconda in Italia solo alla Lombardia, ma concentrata soprattutto nella città di Roma, dove maggiori sono le possibilità occupazionali.


Va detto che questo avviene perché la nostra regione offre molte opportunità lavorative, soprattutto in alcuni settori, che oramai sono pressoché coperti dalla manodopera straniera.


Nel Lazio non ci sono grosse concentrazioni industriali, ne il tessuto delle fabbriche a conduzione familiare come nel nord est; le possibilità di lavoro si concentrano quindi nel lavoro di cura e collaborazione domestica, nell’edilizia, nell’ambulantato, nell’agricoltura, nei pubblici esercizi e nel turismo.


In ciascuno di questi settori gli immigrati svolgono le attività più dequalificate, spesso ai limiti della irregolarità, con bassi salari, assenza di diritti del lavoro e scarse protezioni sociali.


Da quanto esposto segue la necessità che la Regione si faccia carico o operi comunque presso gli enti locali e gli uffici provinciali del lavoro affinché:











N.B. Pur essendo la formazione materia di approfondimento di altro gruppo, tuttavia, per il rapporto stretto tra formazione professionale e politiche attive del lavoro, abbiamo deciso di inserire le seguenti note.





FORMAZIONE PROFESSIONALE


La gestione della FP da parte del centro destra è stata completamente fallimentare, pur in presenza di cospicue risorse derivanti dall’utilizzo F.S.E..

E’ stata caratterizzata da una forte centralizzazione che, pur in presenza di precise disposizioni legislative, ha mortificato il ruolo delle amministrazioni provinciali, abbandonando, al contempo, qualunque intento programmatorio e privilegiando le scelte di natura clientelare, trascurando colpevolmente la domanda di nuove figure professionali da parte delle imprese e del mercato del lavoro.

La conclusione di questa scellerata gestione e che, ad oggi, sono da escludere ricadute occupazionali dell’attività formativa sia per la nuova occupazione sia per la riqualificazione ed il reinserimento lavorativo.

In realtà è totalmente fallito il ruolo della formazione quale strumento fondamentale per le politiche attive del lavoro e per l’incontro tra domanda e offerta.

Il programma del centrosinistra intende partire da questo concetto poiché se il futuro dell’impresa dipende dalla capacità di fare ricerca e di introdurre innovazioni di prodotto e di servizio, il futuro del lavoro sta nella formazione e nella costante riqualificazione e, quindi, c’è un rapporto inscindibile tra la qualità dello sviluppo e la stabilità, la tutela e la valorizzazione del lavoro.

Per il raggiungimento di questo obbiettivo è necessario rilanciare il ruolo della programmazione e dare un nuovo impulso al processo di decentramento di competenze e risorse, sostenendo il ruolo gestionale delle Province e qualificando l’Amministrazione Regionale per le funzioni sue proprie di indirizzo e di controllo.

In questo quadro:

trovando nuove forme organizzative idonee a garantire una costante e puntuale verifica dei risultati formativi raggiunti e, soprattutto, la loro effettiva “spendibilità” nel mercato del lavoro.


Al fine di programmare corsi di formazione sempre più finalizzati e concreti, sarà quindi necessario individuare il raggio di intervento dell’analisi dei fabbisogni formativi, attraverso veri e propri “screening” aziendali. Occorrerà, inoltre ampliare l’indagine dal tradizionale settore industriale, alle molteplici e nuove attività presenti nella filiera dei servizi collettivi, alle imprese ed alla persona.

Se parte del nuovo modello di sviluppo del Lazio si fonderà su gli assets del turismo, dei BB.CC., dell’ambiente e dei servizi innovativi, altrettanto necessario sarà qualificare le nuove professioni che a questi settori necessitano.

Nel quadro di una rinnovata attenzione ai temi della sicurezza del lavoro, la Regione dovrà curare:


Pur avendo la Regione la competenza esclusiva in materia di programmazione della formazione professionale, tuttavia sarà assolutamente necessario interagire con il complesso del sistema formativo sia scolastico che universitario.

L’istituzione di un tavolo di confronto con i Rettori degli Atenei del Lazio e con la Direzione regionale dei Servizi Scolastici può facilitare un processo di integrazione delle finalità e dei percorsi formativi in particolare per quanto riguarda l’alta formazione.

Facendo perno sull’analisi dei fabbisogni formativi, la Regione può sviluppare un ruolo di orientamento e di sostegno (borse di studio) per la formazione di specifiche e altamente qualificate figure professionali e successivamente aiutarne l’inserimento lavorativo (es. infermieri professionali) ovvero venendo incontro all’esigenza delle piccole imprese di poter utilizzare ricercatori ed esperti in trasferimento tecnologico ed innovazione.

La Regione può inoltre orientare l’attività degli Enti bilaterali nel coerente utilizzo dei fondi inter-professionali, ampliando gli strumenti dell’offerta formativa e rendendoli funzionali alle politiche regionali sia per il recupero e la riconversione di situazioni di crisi, che per il sostegno allo sviluppo, utilizzando in maniera integrata tutte le risorse dei diversi fondi strutturali europei.

In questo senso acquista valore strategico il ruolo della formazione continua, tesa alla riqualificazione, manutenzione e nuova valorizzazione del contenuto professionale del lavoro da realizzare anche attraverso strumenti innovativi quali la formazione a distanza, i crediti formativi e la certificazione delle competenze.

La spendibilità di questi nuovi strumenti deve essere garantita sia tra i diversi sistemi formativi che per l’inserimento e la progressione nel mercato del lavoro.

In questo quadro complessivo andranno ripensati i criteri e le procedure di accreditamento degli enti di gestione dell’attività formativa.





































N.B.: I seguenti, brevi, capitoli sintetizzano alcuni suggerimenti del gruppo di lavoro in materie non di immediata pertinenza del gruppo stesso. Tuttavia il rapporto inscindibile tra tali tematiche e le politiche più generali di sviluppo ci hanno indotto ad indicare qui, di seguito, gli assi strategici di orientamento di tali materie che le rendano coerenti con il documento generale da noi redatto.




MOBILITA’ E TRASPORTI


(in rapporto con le politiche dei diritti e dello sviluppo)


PREMESSA:


Il tema in questione comprende in sé due aspetti fondamentali per una coerente politica di rinnovamento e modernizzazione della nostra regione:


Ambedue i temi vanno interrelati con le ricadute sull’ambiente, sia per le scelte di carattere infrastrutturale con il loro relativo impatto ambientale sia, soprattutto nelle grandi aree urbane, per i tassi di inquinamento indotti dal traffico.




LE ESIGENZE (dal punto di vista del sistema economico)


Il Lazio ha due peculiarità “estreme”:

  1. una scarsissima apertura commerciale;

  2. una fortissima apertura turistica (in particolare su Roma).

La prima peculiarità è confermata dal dato che, per il 74,8%, la regione commercia con sé stessa e partecipa, per il solo 4%, al totale delle esportazioni nazionali. Questo ultimo dato è stato confermato nel 2003 con una perdita del 12,2%, sul 2002, del totale delle sue esportazioni.

La seconda peculiarità è confermata dall’essere la meta di un consistente flusso turistico che ha mantenuto livelli alti, malgrado la più generale congiuntura negativa dovuta al rafforzamento dell’euro rispetto al dollaro.

In questo dato positivo vi è però un elemento di squilibrio, perché i flussi sono concentrati soprattutto su Roma e, da alcuni anni, nella sua provincia, toccando solo marginalmente le altre, pur ricche, aree regionali (es.: il viterbese e gli etruschi, le Abbazie del monachesimo, il litorale meridionale, Fiuggi ed il termalismo, ecc.).



LE RISPOSTE


Infrastrutture Materiali


Su questo tema è necessario abbandonare ogni velleità di nuove grandi infrastrutture per il trasporto su gomma per due motivi:

  1. scarsità delle risorse

  2. negativo impatto ambientale


Le “eventuali” disponibilità di risorse debbono essere strategicamente dirottate sul potenziamento/ammodernamento della rete del ferro.

Le scelte indispensabili per il trasporto su gomma possono essere racchiuse in due opzioni fondamentali:

  1. ampliamento, anche tramite complanari, e messa in sicurezza delle grandi radiali;

  2. potenziamento e completamento del sistema delle trasversali:

Questo macro reticolato va poi ulteriormente completato da una riqualificazione ed un “rammagliamento” della rete viaria secondaria per collegare i vari sistemi locali tra loro e con le reti su ferro e su gomma nazionali ed internazionali.



Trasporti


In coerenza anche il sistema dei trasporti deve essere profondamente rinnovato puntando:



Così come l’attività di programmazione e di regolazione dovrà definire i nuovi minimi di servizio e prevedere, tra i regimi di affidamento, la possibilità di gestione “in house” anche per superare le difficoltà derivanti dall’ancora confusa normativa nazionale.





POLITICHE AMBIENTALI



Le azioni per lo sviluppo locale sostenibile dovranno essere basate su quattro cardini:

    1. adottare la valutazione ambientale strategica dei piani e dei programmi di politica economica regionale, al fine di valutarne la sostenibilità nel medio-lungo periodo, anche attraverso analisi dei flussi di materia ed energia, su scala regionale;

    2. adottare al proprio interno strumenti di sostenibilità (in particolare Green Public Procurement e certificazione ambientale territoriale) che sostengano la domanda di prodotti ad impatto ambientale ridotto;

    3. orientare il mercato, attraverso vere e proprie attività di sportello, di sensibilizzazione ed incentivazione, per favorire:


D) integrare la componente ambientale nelle attività di formazione, sia sviluppando figure professionali necessarie a favorire i processi di eco-riconversione delle attività delle imprese e della pubblica amministrazione, che inserendo la valutazione degli effetti ambientali e le “buone pratiche” per la riduzione degli impatti ambientale all’interno della formazione professionale tradizionale




EMERGENZA ABITATIVA


L’emergenza abitativa nel Lazio in generale ed a Roma in particolare, già provata da una politica del Governo che taglia i trasferimenti agli enti locali e dal fallimento della Giunta di centro-destra della Regione Lazio sulle politiche della casa, rischia di acuirsi con l’operazione della cartolarizzazione del patrimonio immobiliare degli Enti previdenziali.

Questa legge, se non adeguatamente corretta, rischia di lasciare senza un tetto tantissime famiglie e moltissimi anziani della nostra regione nonostante i risultati raggiunti dalle lotte degli inquilini.

Questa spregiudicata vendita del patrimonio immobiliare degli Enti, infatti, ha come unico scopo quello di fare cassa sulla pelle di migliaia di inquilini, diminuendo diritti e garanzie e alimentando l’infittirsi di una speculazione edilizia che ha determinato prezzi grandemente superiori ai valori reali degli immobili e soprattutto fuori dalla portata della stragrande maggioranza della popolazione.

Inoltre, nulla è stato fatto per impedire il ripetersi di truffe ad opera di imprenditori spregiudicati.

Anche in questo caso va reimpostata una nuova politica che tenga conto delle tendenze demografiche dei prossimi anni (incremento di anziani, immigrati, giovani) il primo obbiettivo deve essere quello del riuso del patrimonio edilizio-abitativo esistente attraverso programmi di risanamento dei centri storici, di abbattimento-ricostruzione di edifici fatiscenti, di riutilizzo a fini abitativi di immobili precedentemente destinati a diverso uso.

Occorre garantire una diversa gestione del patrimonio di edilizia pubblica, puntando sulla riqualificazione e sulla gestione trasparente.

Vanno rilanciati programmi di edilizia residenziale pubblica con una particolare attenzione ai collegamenti per la mobilità, al rapporto verde-costruito, ai materiali ecocompatibili, all’installazione di pannelli solari per approvvigionamento energetico.




ILSETTORE ENERGETICO


Quattro fenomeni emergenti:


Due possibili conseguenze negative:

  1. progettazione e richiesta di insediamento di nuovi impianti tradizionali, con possibili contraddizioni sociali;

  2. acquisto sul mercato, con ulteriori costi.


Il programma del centro-sinistra deve caratterizzarsi, da subito, per un impegno su uno dei fattori strategici per l’affermazione di uno sviluppo sostenibile.

Questo diviene ancor più urgente per il Lazio dove sono già in corso programmi ed investimenti per la riconversione di centrali esistenti.

L’impegno del centro-sinistra deve quindi sostanziarsi con la definizione di un piano energetico regionale che si articoli su sei direttrici di fondo:

  1. analisi dei fabbisogni energetici di medio-lungo periodo;

  2. politiche di incentivazione del risparmio e dell’efficienza energetica attraverso la individuazione di nuove regole per il consumo e la creazione di sistemi premianti dei comportamenti virtuosi;

  3. programmare il riequilibrio territoriale dei nuovi insediamenti produttivi, superando gli squilibri e le dipendenze territoriali;

  4. favorire ed incentivare la ricerca, l’innovazione e la sperimentazione di soluzioni a minor impatto ambientale ed incentivare l’uso delle fonti rinnovabili;

  5. potenziare il sistema di monitoraggio.


  1. programmare e realizzare percorsi formativi per la riqualificazione del personale occupato.


A fronte di questa politica di medio-lungo periodo serve invece un intervento immediato sulla questione della centrale a carbone di Civitavecchia:



IMMIGRAZIONE


Emergenza abitativa


Ma accanto al lavoro per chi vive nel Lazio, in particolare a Roma esiste una costante emergenza abitativa che coinvolge i migranti in maniera ancora più netta che gli autoctoni.


Va quindi ripensata in ambito regionale una politica abitativa inclusiva che permetta il recupero di strutture non utilizzate, canoni agevolati per chi non ha un reddito sufficiente, parità nelle graduatorie per l’accesso all’edilizia popolare, riconoscimento delle occupazioni di stabili non utilizzati per fine sociale.


Salute e sicurezza


Non vanno poi sottovalutate le problematiche di carattere sanitario, che ai due temi già trattati sono correlate. Chi arriva in Italia è sano ma rischia di ammalarsi se sottoposto a lavoro nocivo, se vive in ambiente insalubre, se cade in condizioni di marginalità. Si ritiene utile che alle ricerche svolte in questo senso dall’Agenzia di Sanità Pubblica (organo regionale) faccia seguito una politica sanitaria che faciliti l’accesso alle strutture pubbliche non solo per emergenze di primo soccorso. Affinché questo accada è necessario che le stesse Asl si adeguino potenziando le proprie strutture e rendendo fruibile l’accesso continuativo anche a chi non è in condizioni di “regolarità”.


Lavoro, sanità, casa debbono poi divenire questioni in cui coinvolgere direttamente le donne e gli uomini migranti presenti nella regione. Vanno favorite esperienze di autogestione di servizi, di recupero di spazi abitativi, incrementato il ruolo di intermediazione nell’accesso alle strutture pubbliche creando anche nuove prospettive occupazionali ma perché questo accada è necessaria uno sviluppo della partecipazione alla vita sociale e politica.


Riforma dello Statuto Regionale


Seguendo l’esempio di regioni come il Friuli Venezia Giulia o la Toscana e nonostante l’eccezione di incostituzionalità avanzata da questo governo che ne ha bloccato l’attuazione, lo Statuto deve comprendere il diritto al voto attivo e passivo per i cittadini migranti residenti nella nostra Regione.


La volontà di partecipare alla gestione della cosa pubblica, già manifestata in consultazioni importanti ma di minore potenzialità come l’elezione dei consiglieri aggiunti a Roma, sono un segnale significativo. Ma le forme di partecipazione parziale e prive di fatto di qualsiasi potere reale, sono uno strumento che giunge tardivo e che non corrisponde alle mutazioni sociali in atto. Bisogna garantire ad ogni residente che ne faccia richiesta, indipendentemente dal suo paese di origine, di poter concorrere pariteticamente all’amministrazione. Il voto non rappresenta soltanto un fondamentale elemento di inclusione ma il cardine attraverso cui ridefinire la stessa concezione di cittadinanza.


La residenza, sganciata dalla nazionalità, deve poter divenire l’elemento che garantisce l’accesso a tutti i servizi, i diritti e i doveri che accomunano una collettività, sia che si parli di reddito minimo di inserimento che di accesso ai nidi per le madri lavoratrici che di politiche abitative programmate dagli enti locali.


Non più un problema di “sicurezza”


In conclusione per troppi anni si sono affrontate le questioni connesse all’immigrazione come principalmente problema di ordine pubblico. Una Regione governata dal Centro sinistra deve rovesciare questo paradigma: non sono i migranti a creare problemi di sicurezza è spesso la sicurezza della vita dei migranti ad essere problematica. Dagli incidenti sul lavoro, agli atti di razzismo, alle condizioni di sfruttamento in cui molte e molti sono sottoposti, fino alla marginalizzazione che può anche divenire anticamera della devianza. E se c’è un primo atto anche se simbolico ma importante in cui la nuova maggioranza dovrà convenire questo è la chiusura del Centro di Permanenza Temporanea di Ponte Galeria.


La chiusura delle nuove “galere etniche”, deve essere elemento non negoziabile e bisogna auspicare che tutte le Regioni amministrate dal centro sinistra ne facciano un proprio punto di vertenza nei confronti del governo centrale. Esse rappresentano un elemento di pericolosa caduta dei principi del diritto garantiti dalla Costituzione. Essere reclusi per 60 giorni per poi ritrovarsi come uniche alternative la clandestinizzazione (espulsione senza accompagnamento alla frontiera) o il rimpatrio forzato, senza aver commesso alcun reato se non quello di esistere senza documenti deve essere considerato inaccettabile.




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