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"Costruire un rapporto di fiducia in un contesto italiano"

 
Patrick Boylan, Università Roma Tre,
patrick@boylan.it
26 agosto 2007

 
 
Ecco alcune domande su cui riflettere
prima del nostro prossimo incontro
e, comunque, prima di riempire la scheda sulla vostra
“esperienza di fiducia” in un contesto interculturale
(la scheda si trova in fondo).


 
 
1. Prima domanda: COSA S'INTENDE PER “FIDUCIA”?

Per rompere il ghiaccio, ho già formulato una prima ipotesi di risposta, che appare nella prima scheda.  Voi altri potete dire ora la vostra.  In verità ho ripescato gli appunti in inglese fatti per un altro lavoro tempo fa:


Scheda
1

 
FIDUCIA: DEFINIZIONI

Combining and revising definitions taken from the Oxford and Webster dictionaries, we may define "trust" subjectively as a mental state of "assured reliance" on another person, deriving from a "firm belief" in her/his willingness and capacity to do or be something we count on.

Castelfranchi & Falcone (1998), psychologists studying Multiple Agent Systems, define trust objectively (behaviorally) as “the mental counter-part of delegation”. This may be glossed as: “the mental state of tranquilly (absence of measurable anxiety)” that accompanies a “conferred responsibility”. In other words, If an agent, having delegated an important responsibility, does not behave anxiously (does not express worry about the outcome or continually monitor it), that agent may be said to be tranquil and therefore trusting.

Gambetta (1988), a social communication theorist, offers a more restrictive definition of trust: it is an intuitive calculation of “subjective probability”, by which “an individual, A, expects that another individual, B, [will] perform a given action on which A's welfare depends”.  If A calculates, with a probability of at least 51%, that B will do the action, then A trusts B (to that extent).  The greater the percentage, the greater the trust, up to 99%. (100% probability is certainty and therefore no longer trust.)

In the field of workplace sociology, Curral (1990) defines "trust" as "reliance on others under conditions of dependence and risk" while Mayer et al. (1995: 712) offer the most vivid definition of all: trust is the measure of "the willingness of a party to be vulnerable."
 



Ma su che cosa basiamo la nostra "ferma credenza" nelle "buone intenzioni" e nella "capacità reale" dell'Altro?

Quali tratti caratteriali e comportamentali cerchiamo di discernere in lui o in lei prima di accordare la nostra fiducia?

Se “fidarsi” significa, di riflesso, “affidarsi”, quali sono i tratti essenziali dell'affidabilità che percepiamo (o pensiamo di percepire) nell'Altro?



Scheda
2

AFFIDABILITÀ*: TRATTI ESSENZIALI
*con particolare riferimento al lavoro in un'equipe multiculturale


David Trickey et al. (2006) elencano dieci tratti che ritengono essenziali per definire il concetto di affidabilità.

NOTA IN MARGINE

Una piccola questione di terminologia: David dice che il suo vuol essere un elenco di criteri per dare la fiducia (“trust criteria”), ma forse sarebbe meglio parlare di criteri per riconoscere l'affidabilità dell'Altro (“reliability criteria“). Infatti, il suo è un elenco dei connotati dell'affidabilità.

Un elenco di “trust criteria”, invece, avrebbe contenuti diversi. Essendo la “trust” lo stato mentale di accettazione di affidarsi ad un Altro, se volessimo capire in che cosa consiste questo stato di accettazione, dovremmo analizzare l'atto decisionale con le sue molteplici radici motivazionali:

● sia quelle peculiari all'individuo o alla situazione – ad esempio, “grado di convinzione” (eventualmente compromesso da una tendenza alla credulità), “grado di ansietà” (eventualmente compensato dalla constatazione di tendenze ansiogene croniche), ”grado di identificazione” (eventualmente rinforzato da una dipendenza affettiva), ecc.,

● sia quelle culturalmente indotte – ad esempio, in positivo, lo “stato di deferenza” che incute l'età o la stazza fisica, in modo particolare nelle comunità sotto-alimentate;  in negativo lo “stato di diffidenza generalizzata” come quella atavica medio-orientale in sede negoziale, ecc. 

Invece quello che fa David nel suo elenco – e ritengo giusto farlo in questa fase iniziale – è di cercare di capire quali sono le qualità intellettive e morali pregevoli (“la competenza”, “l'integrità”, “la benevolenza”, ecc.) che connotano l'apparenza di affidabilità. Queste qualità non descrivono né spiegano lo stato di accettazione di affidarsi ad un Altro (“trust”) e tanto meno lo determinano,  Tuttavia lo facilitano.

In seguito, dunque, altererò i termini usati da David e parlerò di una “matrix of criteria” che descrive, non la “trust” (la fiducia), bensì la “reliability” (l'affidabilità).  Anzi, per essere più precisi ancora, parlerò, come ho già cominciato a fare, non di ciò che determina l'affidabilità, bensì di ciò che determina l'apparenza di affidabilità, poiché è quest'apparenza la vera levatrice della fiducia

 

Dunque, scrive David, la persona che ci appare affidabile: 1. sembra saper fare ciò di cui abbiamo bisogno (competenza), 2. manifesta i nostri stessi valori (condivisione), 3. sembra ben intenzionato (benevolenza), 4. rispetta gli impegni (integrità), 5. non fa “sorprese” (prevedibilità), 6. non è avventato (sicurezza), 7. non fa per conto suo (inclusione), 8. dice spontaneamente quello che sa (apertura nell'informare), 9. tiene la porta sempre aperta (accessibilità) e, infine, 10. esprime fiducia in noi (reciprocità).

Per una descrizione più dettagliata di questi dieci criteri, in lingua italiana, vedi l'allegato si-fiducia-allegato-a.pdf cliccando qui.

 
Delicone (2006) ritiene invece che quattro tratti soltanto siano sufficienti per definire ciò che ispira la nostra fiducia in una persona, ossia l'apparenza di:


"1. competence, 2. strength [la persona è non solo tecnicamente competente, ma ha la forza per superare ogni ostacolo], 3. benevolence, 4. commitment [la persona sembra intenzionato ad impegnarsi a fondo]." 
(Ho aggiunto una piccola spiegazione solo ai due punti che non appaiono nella lista di David.)


Invece tre soli tratti sono sufficienti per cogliere l'essenza della persona che ispira fiducia, secondo Cummings & Bromiley (1996:303), creatori dello Organizational Trust Inventory. E' sufficiente che il soggetto sembri:


"1. committed (good faith efforts to get the task done), 2. honest (no deception in exchanges), 3. mutually interested (limited opportunism)."


Infine, in situazioni in cui chiediamo informazioni standardizzate on-line, ad esempio rivolgendoci ad un Help Desk sul sito Internet di un fornitore, Abrams et al. (2003) ritengono che bastino due tratti soltanto per avere fiducia nella risposta che viene data.  Dobbiamo percepire nell'addetto del Help Desk:


"1. benevolence, 2. competence".

 




Abbiamo qui, dunque, un secondo campo di ricerca da esplorare:

 
 
 

2. SECONDA DOMANDA:  QUANTI E QUALI TRATTI ESSENZIALI DEFINISCONO L'AFFIDABILITÀ (o comunque l'apparenza di affidabilità)?


Una definizione scientifica mira ad essere onnicomprensiva ma, nello stesso tempo, succinta quanto possibile.  Che pensate, allora, degli elenchi appena presentati – quale risponde meglio a questi due criteri?  Alcuni dei tratti di David sono ridondanti o comunque non centrali?  Oppure siete del parere che l'elenco di Delicone o di Cummings & Bromiley dimenticano tratti essenziali? Forse qualcuno dirà che i vari tratti indicati, messi tutti insieme, non bastano nemmeno e che ne occorrono ancora di più per descrivere un fenomeno complesso come l'apparenza di affidabilità.
 
Quest'ultima opinione ha un che di vero.  Infatti, la quantità e la qualità dei tratti che definiscono l'affidabilità potrebbero variare a seconda delle “culture a contatto” e a seconda dei contesti transazionali (o comunque interazionali).  Insomma, l'”affidabilità” vuole dire cose diverse in contesti diversi.  Per esempio, prima di dire di “sì” ad una proposta di matrimonio (e quindi “sì” alla richiesta di fiducia in essa implicita), una donna di cultura X cercherebbe sicuramente di individuare, in un uomo appartenente alla cultura Y, tratti di affidabilità che sono almeno in parte diversi da quelli che lei cercherebbe di individuare in un agente immobiliare appartenente alla cultura Z, prima di dire “sì” alla sua proposta di venderle una casa.  Perciò, se vogliamo poter tener conto delle interazioni tra italiani ed esponenti delle altre culture, anche limitandoci per ora alle sole transazioni in ambito lavorativo, dovremmo avere a disposizione un elenco di tratti assai variegati.  Donde l'interesse che potrebbe suscitare l'idea di costruire un mega-elenco di “tratti di affidabilità” valido per tutte le situazioni.

Naturalmente, una volta compilato un elenco del genere, non potremmo mai usarlo nella sua interezza. Dovremmo semmai estrarne, volta per volta, quei tratti che servono per redigere un questionario o per stilare un profilo o per elaborare una griglia interpretativa, adatti alla situazione di cui ci occupiamo. Ma come sapere quanti tratti servono per il caso in questione?  Come decidere quali scegliere?  Come distinguerli gli uni dagli altri in un elenco sterminato?

La soluzione potrebbe essere quella di rinunciare alla compilazione di un mega-elenco e di optare invece per la creazione di una casistica. Cioè una raccolta dei vostri racconti di occasioni in cui avete visto italiani e stranieri cercare di “build trust in an Italian context”.   Una raccolta, dunque, di scenari realmente avvenuti, classificati a seconda delle variabili situazionali che esprimono, seguiti dall'indicazione dei tratti di affidabilità associati ad ogni singolo scenario raccontato.

Questa, dunque, è la mia proposta per il primo Progetto di Ricerca di SIETAR-Italia: costruire una casistica delle nostre esperienze, situazione per situazione, per capire come si costruisce un rapporto di fiducia nei vari contesti italiani.

Quali sono, dunque, le variabili situazionali di cui dobbiamo tenere conto nel compilare una tale casistica?

Abbiamo già visto una delle variabili – il “Tipo di Transazione“ – nella distinzione appena fatta tra (1.) l'affidabilità da ricercare in un fidanzato e (2.) l'affidabilità da ricercare in un agente immobiliare.  Non solo, ma abbiamo visto in precedenza anche un altro esempio della variable “Tipo di Transazione”: mi riferisco, nella scheda 2, all'esempio dei Help Desk negli Stati Uniti.  Infatti, in una cultura fortemente universalistica come quella WASP americana che predomina nel mondo del lavoro – cultura in cui vige la legge non scritta: “Se non lo sai, ammettilo, non cercare di coprirti!” – probabilmente bastano solo i due tratti indicati da Abrams et al. per determinare un'impressione di affidabilità in una transazione condotta on-line per ottenere informazioni standardizzate.

(Apro una parentesi: questa osservazione fa pensare che probabilmente tutti gli elenchi di tratti presentati nella Scheda 2 – quello di David, quello di Delicone, quello di Cummings & Bromiley, quello di Abrams et al. – sono da considerarsi validi... limitatamente alle situazioni per le quali sono state concepiti e alle finalità per le quali sono stati poi usati.)

Quindi alla mia seconda domanda, ossia “QUANTI E QUALI TRATTI ESSENZIALI DEFINISCONO L'AFFIDABILITÀ (o comunque l'apparenza dell'affidabilità)?”, mi sembra a questo punto che la risposta più sensata non può che essere:

“Dipende.”

Infatti, dipende dalle variabili situazionali. Perciò, nel rispondere alla seconda domanda, se dite che a vostro avviso i tratti che definiscono la fiducia sono “A”, “B” e “C”..., dovete subito aggiungere: “...cioè, almeno nelle seguenti situazioni, che ho potuto osservare e che ora descriverò nei seguenti scenari.”

In pratica, nel rispondere alla seconda domanda, non darete elenchi di tratti in astratto, ma sempre associati ad uno o più scenari ben precisi.


Seguono dunque alcune schede che illustreranno le variabili situazionali principali di cui potete tener conto nel determinare i criteri di affidabilità e nel descrivere gli scenari ad essi associati. L'ultima scheda consisterà in un esempio concreto – senza pretese! – di scenario mio personale, che ingloba tutte le variabili.




Scheda
3

LE VARIABILI DELL'AFFIDABILITÀ:
L'ENTE O L'AZIENDA E LA SUA CULTURA

 
Le vostre risposte su quanti e quali tratti definiscono l'affidabilità varieranno a seconda del tipo di ente o di azienda in cui i soggetti (che poi descriverete) operano.

Dò subito un esempio dalla mia esperienza personale di diversi anni fa.  Dal momento che “faccio nomi”, ricorrerò ad episodi del passato per non tirare in ballo gli attuali assetti delle aziende indicate. (Voi invece potete cambiare i nomi delle persone e dei luoghi nei vostri racconti, per proteggerne l'identità.)

C'è stata nell'ENEL di molti anni fa, una cultura ovattata da “palazzo” (per cui “ispirare fiducia” richiedeva saper essere ossequiosi e fare giri di parole intricati, ecc.) che contrastava fortemente con la cultura che dominava allora in Alenia Aeronautica, dove la fiducia si guadagnava facendosi vedere sempre rispettosi, sì, ma anche apertamente competitivi e puntigliosi. Eppure le due aziende, per quanto culturalmente assai diverse, erano entrambe società IRI, di tipo ingegneristico, localizzate in Italia centrale, ecc. 

Perciò, se io dovessi stilare un elenco di “tratti essenziali di affidabilità” validi per l'ambiente ENEL di allora, includerei sicuramente il tratto “Strength” suggerito da Delicone (ma che non appare in nessuno degli altri elenchi).  Infatti, all'epoca non contava tanto le tue competenze ingegneristiche quanto l'appoggio partitico di cui godevi.  Chi voleva ispirare fiducia in un proprio progetto, doveva per forza far capire agli altri di avere le spalle ben protette.

Invece nel caso dell'Alenia (e solo marginalmente nel caso dell'ENEL) dell'epoca, bisognava includere, tra i tratti essenziali dell'affidabilità, uno suggerito da Cummings & Bromiley, ripreso da Delicone e che appare per implicito anche nell'elenco di David: “Committed”.  Infatti, gli ingegneri di Alenia passavano i loro pranzi a cercare di risolvere qualche problema di design, scarabocchiando persino sui tovaglioli. Perciò in quell'ambiente, chi voleva ispirare fiducia in un proprio progetto non poteva non mostrarsi altrettanto “committed.”
 





Scheda
4

LE VARIABILI DELL'AFFIDABILITÀ:
IL TIPO DI INTERAGENTI

Gli indizi di affidabilità necessari per ispirare la fiducia in una determinata situazione, varieranno naturalmente anche a seconda del tipo di figure che interagiscono.

In un'ente o in un'azienda, si tratta di impiegati in carriera, contrattuali, outsourced? In una ONLUS o ONG, si tratta di interazioni tra utenti o tra equipe/utenti o tra i soli membri dell'equipe? 

Varieranno anche a seconda della composizione per genere della gerarchia e della workforce.

Secondo Franklin (2004), in una tipica equipe aziendale virtuale, i componenti femminili sono meno trusting rispetto ai componenti maschili nelle attività competitive, mentre l'opposto è vero nelle attività collaborative.

Varieranno pure a seconda del tipo di contatto abituale che intercorre tra di loro (riunioni autoconvocati ed autogestiti, riunioni dirette da un capo, riunioni virtuali tramite Internet, ecc.).





Scheda
5

LE VARIABILI DELL'AFFIDABILITÀ:
LE CULTURE E SUB-CULTURE A CONTATTO


Dobbiamo naturalmente chiederci anche quali bagagli culturali nazionali e/o etnici hanno gli interagenti, sia italiani che non-italiani, e quindi cosa può significare “affidabilità” per ognuno di loro. Per aiutarci a riflettere su questo aspetto – in qualche modo il nostro contributo specifico in quanto “esperti” della comunicazione interculturale – sarà sicuramente utile lo schema che ha preparato David e che si puo vedere cliccando qui sotto:

Trust Matrix (o più esattamente, a mio avviso, “Reliability Matrix”)

La Matrice di David è uno strumento molto utile perché ci fa riflettere su cosa significa ciascuna caratteristica dell'affidabilità, a seconda del background culturale del soggetto (usando le dimensioni di Hofstede e di Hall, per quanto discusse, come indicatori di quel background).

Prendiamo come esempio il caso di un gruppo di interagenti italiani.  Infatti, per via delle differenze nelle loro regioni e ceti sociali di provenienza, anche loro possono avere connotati culturali divergenti.   Si tratta di “sub-cultures”, ma le dimensioni culturali standard, ad esempio quelle di Hofstede o di Hall, vi si applicano ugualmente bene (o male, a seconda del vostro giudizio sulle dimensioni di Hofstede e di Hall).  Per esempio l'ENEL (quello di molti anni fa, con radici storiche nel Piemonte ma poi sede a Roma) aveva una vecchia guardia sabauda (+Universalistic, -Polychronic) che si scontrava spesso con la nuova leva di manager romani (-Universalistic, +Polychronic), considerati meno disciplinati e precisi, per quanto ingegneri di tutto rispetto. Dal canto loro, i romani (-Masculine, -Uncertainty Avoidance) consideravano i sabaudi (+Masculine, +Uncertainty Avoidance) dei soldatini, disciplinati ma senza creatività. E' chiaro che in questo contesto la nozione di “competenza” – o di qualsiasi altro tratto di affidabilità – variava molto tra un partecipante e un altro nelle riunioni di pianificazione.

Quindi quando indicate le culture a contatto, non basta dire “inglesi e italiani” o “americani e italiani”, bisogna precisare di quali italiani state parlando e il loro bagaglio culturale.

Nella misura del possibile, bisogna farlo anche per gli interagenti stranieri: cioè, dare i loro connotati regionali, socioculturali, ecc.  Qualcuno obietterà che mancano i testi di consultazione e, infatti, questo argomento viene poco discusso nei libri di comunicazione interculturale, i quali trattano italiani o cinesi o brasiliani come se fossero tutti uguali all'interno delle rispettive comunità. Tuttavia, può bastare visionare (con un nativo parlante) i film comici del paese straniero che vi interessa, per trovare infinite descrizioni di differenziazioni regionali e socioculturali, esagerate e stereotipate ma comunque valide come chiave di lettura delle stratificazioni sociali.

 




Infine, come si è detto in precedenza, dobbiamo chiederci di che Tipo di Transazione si tratta.  Infatti, questa variabile determina “quanta e quale fiducia” deve avere chi rischia qualcosa nella transazione e perciò quali requisiti deve avere il suo transaction partner per sembrare di meritare la fiducia accordatagli. 

Ad esempio, nelle transazioni ad hoc di breve durata rese necessarie a causa di qualche emergenza, i requisiti possono essere minimi.  In effetti, può scattare ciò che Meyerson et al. (1996) chiamano “Swift Trust”, ossia la fiducia accordata subito in base al solo indizio di competenza professionale dimostrata. “Swift Trust” caratterizza le “rapide intese” che si formano tra sconosciuti per portare soccorso in occasione di disastri.  Si verifica anche tra aziende rivali (che sono notoriamente non benevoli le une verso le altre, non inclusive, non aperte con le informazioni, non prevedibili, ecc.) per fronteggiare un'inattesa concorrenza dall'estero.


Come contributo personale alla nostra ricerca, ho preparata una scheda sulla variabile “tipo di transazione”, limitatamente al concetti di tempo (ma escludendo le situazioni di “Swift Trust” in quanto autoregolanti) e di qualità.   Siccome mi sono basato su un vecchio scritto, il testo è in inglese. 

La versione completa è molto lunga – discute cos'è la fiducia realmente, come viene creata e come viene persa – e quindi potrebbe distrarre dal discorso immediato sui variabili per le schede che dobbiamo preparare.  Ciò che segue, quindi, è la versione abbreviata.  Per quella estesa cliccare qui:
COMPLETE TEXT.

 

Scheda
6

LE VARIABILI DELL'AFFIDABILITÀ:
IL TIPO DI TRANSAZIONE
Tre casi-tipo di transazione e i tre livelli di fiducia normalmente associati ad ognuno di essi.
(VERSIONE ABBREVIATA)

 
What inspires trust in specific instances varies considerably. Tyler and Kramer (1996), as well as Moellering (2005), define three, largely similar, transactional frameworks, applicable to most Western or Westernized cultures.  These normally determine three different intensity levels of "trust". 

-- Framework 1. One-off business or interpersonal transactions.

Within this Framework, as in Gambetta's definition (Scheda 1), "trust" is no more than willingness to run a calculated risk.  That willingness is proportionately inverse to the risk of vulnerability: if the risk is more than 50%, then trust is less than 50% – which means there is no trust, only a bettor's hope on a long shot. 

We will take this low-intensity trust as our starting point and give it a name: "Trust as the (reluctant) acceptance of a calculated risk" (Level 1).
 
 

 

-- Framework 2. Long-term business or interpersonal transactions.


In this Framework "trust" is created by sustained positive reinforcement, i.e. by repeated experiences of trustworthiness in dealing with the other party (or parties taken to be similar) that seemingly will continue that way into the future.  Castelfranchi & Falcone's definition of “trust” (Scheda 1), as glossed, holds here. 

This level of trust, which will will call "Trust as an acquired disposition" (Level 2), is the prevalent one today in both the business world and interpersonal relations.  You manifest it, however unthinkingly, every time you take a pill or accept a cheque. 
 
(There are big differences between this kind of trust and so-called “blind trust”, as well as with what is commonly called “reliance”.  For a discussion of these differences, as well as the economic benefits of creating Level 2 trust, see the COMPLETE TEXT.)
 
 

-- Framework 3. Transactions within a relationship of (supposedly life-long) reciprocal total commitment


First let us consider interpersonal transactions of this kind.

Within Framework 3, "trust" is created by the parties through "suspending" (Moellering, 2005:17, 31) their mutual fear of dependence and risk. They typically manage to do so by experiencing (or fantasizing) a profound knowledge of -- through empathetic identification with -- the other party.  Indeed, their knowledge of the other party seems to them to be “perfect”.  A loved one, a staunch friend, a hero worshiper, a blood brother in a street gang, etc. all feel that they have known the other party in their relationship for their entire lives and are, to use Augustine's expression, "one soul in two bodies."   In this case, “I trust you” literally means “as I would myself.”

This high intensity (but nonetheless reasonable) trust, which we will call "Trust through identification-induced 'perfect' knowledge" (Level 3), exists not only in truly enriching marriages and friendships, but also in any form of ideal-driven association based on (supposedly lifelong) total commitment, from a religious orders to hippy communes.  Total dedication to a common ideology – as well as to the commonweal – produces, along with synergy, the feeling of "perfect" reciprocal knowledge and tolerance – and thus absolute trust in one another.
 
(The COMPLETE TEXT also discusses what happens when this kind of trust is weakened by failures or betrayals, whether in an organization or in an interpersonal relationship.  It also discusses how this level of trust is [re-]acquired.  Finally, it discusses anomalous forms of Level 3 trust: blind trust, naïve trust, neurotic trust.)
 
 
 

Now let us consider organizational (in particular, business) transactions.

Level 3 trust is studied only occasionally in organizational contexts (Lewicki et al. [2006], for example, discuss it under the name of “intentional trust”).  This is a curious shortcoming.

For transactions in the workplace at Trust Level 3 within Framework 3 are not only a possibility, they are a fact.  A strong shared identity together with intense bonds of trust among all parties may be found among management and staff in the large corporations in Japan practicing lifelong employment and automatic promotions (most still do), in the kibbutz farm communities in Israel still based on ideals (e.g. Samar), and in the factories and service industries owned and run by worker cooperatives in Venezuela under Chavez.

Even ordinary company managers, especially in knowledge-based industries, can (and in fact often do) attempt to instill Level 3 trust in their workforce by promoting:

  • a common vision (as well as stock options),

  • a company "spirit" (as well as social activities) and, above all,

  • maximum transparency (as well as in-house communication).

Initiatives like these serve to create, among the staff, the feeling of (identification-induced) “perfect knowledge” of the management, as well as a feeling that all parties share, to some degree, reciprocal commitment.  As for the “totality” and “supposedly lifelong” duration of that commitment, both of which are clearly lacking in a traditional company structure, managers try to:

  • provide, when hiring and periodically thereafter, personalized (career oriented) information on the direction the business is heading in;

  • set career expectations and then encouraging career initiatives on the part of individuals within the company through focused retraining;

  • practice mentoring at all levels as a personalized form of interest in career development, within the company and elsewhere;

in a word, they shift the focus from creating lifelong employment to creating “lifelong employability” (Bagshaw, 1997) and, what makes the difference, assume the responsibility to make it happen for each individual worker.  Through measures like these, an organization's image becomes more trust-inspiring at Level 3.  The organization seems to say: “We do care about your lifelong prospects.  And so, while with us, take ours to heart, too.”  The key word is “heart”.

Managing to inspire Level 3 trust pays off in higher revenue and profits due to increased “job performance” (Lewicki et al., 2006: 992).  The causes of this increase lie in improved relationships (more productive, more creative), in more easily negotiated win-win solutions and, most importantly, in a huge jump in knowledge production and distribution within the organization.  People who interact at Trust Level 3 share much more and sharing produces synergy (Argote & Ingram, 2000).  Solomon & Flores (2003) emphasize how Level 3 trust “transforms” a workforce: people who trust and feel trusted behave differently than people who do not; they take more initiatives and come up with more ideas.  In our knowledge society, these benefits all go to make up a compelling competitive advantage.

The problem is that this goal is becoming harder and harder to attain in our neo-liberal economy, which is moving in just the opposite direction:

  • eliminating all vestiges of Transactional Framework 3 – for example, several Japanese corporations have begun to abandon lifelong employment (assunzioni per la vita), downgrading it to Transactional Framework 2 (assunzioni a tempo indeterminato, ossia fin quando il mercato non esiga un ridimensionamento dell'azienda) – and

  • downgrading even Transactional Framework 2, where it traditionally exits, to Transactional Framework 1 (assunzioni a temine, staff leasing, etc.).

Neo-liberalism has influenced social models as well, for example making even interpersonal relationships more precarious.  The effect of these changes on Trust Levels has been significant. 
 

(For a discussion of this problem and what to do, see the
COMPLETE TEXT).
  


Con questa scheda, abbiamo finito la descrizione delle variabili situazionali.

Incoraggio tutti coloro che amano spulciare nelle biblioteche o in Internet per vedere quello che dicono gli studiosi sul tema “fiducia”, a fare un contributo proprio con schede come questa.  Se qualcuno di voi ritiene che dovremmo contemplare altri variabili, indicaci quali.



Ecco ora, per concludere, un esempio di scenario che esplicita tutte le variabili elencate fin qui.  La scheda cerca di dare una risposta, per quanto limitata alla situazione che descrive, alla nostra seconda domanda.

QUALI TRATTI ESSENZIALI DEFINISCONO L'AFFIDABILITÀ
(o comunque l'apparenza dell'affidabilità)



Scheda
7

ESEMPIO DI SCENARIO
seguito da un elenco di tratti essenziali di affidabilità validi per questa situazione

 
Segue lo scenario di un recente incontro interculturale, tra egiziani e italiani, al quale ho potuto assistere.  Non ho dubbi: in questo preciso incontro, la capacità d'ispirare fiducia da parte di entrambe le delegazioni ma soprattutto da parte di quella egiziana, ha consentito un esito win-win. 
 
In questa scheda vedremo l'incontro dal punto di vista degli egiziani: Che cosa hanno afferrato del concetto di affidabilità in Italia?  Come hanno potuto sfruttare questa conoscenza per meglio guadagnare la fiducia dei loro interlocutori italiani?
 
Il mio resoconto è abbastanza dettagliato, ma non spaventarvi: non è necessario che i vostri scenari siano altrettanto particolareggiati.   Naturalmente, più dettagli contengono e più le nozioni di “fiducia”, di “affidabilità”, di “competenza”, ecc. diventeranno concrete per chi vi leggerà...

 

 


SUNTO DI UNA RELAZIONE PER UN COMMITTENTE EGIZIANO
CHE INTENDE VENIRE IN ITALIA PRESSO UN'AZIENDA DEL CENTRO-SUD
PER PROSPETTARE UN CONTRATTO DI FORNITURA
(apparecchi e software per torri di controllo negli aeroporti)

|

 
}Ỷ{
 

|


Vengono indicati i connotati economici e socioculturali dell'azienda italiana
nonché i specifici atteggiamenti da assumere durante gli incontri
per ispirare fiducia da parte degli italiani.

N.B.  Va ribadito che quando si parla di “italiani” e di “cultura italiana” in questa scheda,
si riferisce solo e soltanto alle persone descritte nello scenario e della loro cultura.
Esse rappresentano poche tessere nel vasto mosaico che è l'Italia.


N.B. I nomi ed alcuni dati sono stati modificati per proteggere l'identità degli interessati.




DATA: giugno 2007

NOME DELL'AZIENDA: Italcontrollo, s.r.l.


UBICAZIONE: Italia centro-sud, nel basso Lazio tra Roma e Napoli (dove inizia la zona che beneficiava della Cassa per il Mezzogiorno). Zona industriale, ora con prevalenza delle industrie informatiche e di ingegneria di precisione.


ATTIVITÀ: azienda produttrice di software e di impianti di telecomunicazioni per le torri di controllo degli aeroporti. E' stata fondata 10 anni fa da due soci, romani di famiglia ciociara, un ingegnere elettronico ed un ingegnere informatico, ex-controllori di volo militari; romanisti entrambi. L'azienda ha 40 dipendenti; vende soprattutto nei paesi in via di sviluppo grazie ai prezzi più contenuti rispetto ai competitori americani e tedeschi.


CULTURA AZIENDALE: un miscuglio tra il “mordi e fuggi” tipico delle aziende startup che sanno che dureranno probabilmente soltanto il tempo di un boom (in questo caso il boom della costruzione di aeroporti per il turismo nei paesi esotici) insieme ad un tentativo di paternalismo tipico delle aziende a conduzione familiare (ma l'azienda in questione ha solo pretese di essere familiare) e della cultura meridionale decantata nelle sceneggiate napoletane.


INTERAGENTI: il personale dell'azienda è quasi totalmente maschile e prevalentemente a contratto (solo il 30% è assunto in pianta stabile). Siccome gli addetti sono stati assunti per conoscenza (tramite chi già lavorava presso l'azienda), formano gruppuscoli per affinità; prevale la componente campana/ ciociara, poi quella laziale (pochi tecnici da Roma: sono più istruiti ma costano di più e “fanno più storie”).


MOMENTI D'INTERAZIONE INTERCULTURALE PREVISTI: 1. la visita “informativa” presso le due sedi (quella del committente e quella italiana); 2. il negoziato tra delegazioni ufficiali presso gli uffici del committente; 3. il training presso l'azienda italiana per i tecnici egiziani, svolta sia in aule con un istruttore (ingegnere), sia davanti agli apparecchi con i tecnici addetti.


TIPO DI INTERAZIONE DURANTE QUESTI MOMENTI: Si è ipotizzato (e nei fatti si è verificato) che nella trattativa i manager italiani avrebbero professato un interesse in un rapporto di lunga durata ma, poi, che avrebbero condotto i negoziati in un'ottica one-off.  Debole è stato il loro tentativo (che a mio avviso avrebbero potuto invece sfruttare molto) d'instaurare un rapporto carismatico, giocando le carte nazionali ben note (eleganza, savoir faire, storia e tradizioni, ingegno, eccellenza ingegneristica della Ferrari, ecc.).  Si è ipotizzato che nei training i controllori di volo egiziani avrebbero dimostrato il rispetto per il docente che hanno per tradizione, mentre gli ingegneri ed i tecnici italiani sarebbero stati inizialmente diffidenti della preparazione tecnica dei loro “alunni”.


CULTURE A CONTATTO: Ce ne sono due, ognuna abbastanza omogenea rispetto alla ricca diversità di sub-cultures nel paese di appartenenza.  Esse sono:

(1.)  la cultura italiana, nella particolare realizzazione incarnata nei due capi e negli ingegneri e tecnici di Italcontrollo, s.r.l.  Possiamo illustrare sinteticamente i loro valori culturali specifici “aggiustando” i ben noti valori assegnati da Hofstede agli italiani in generale:

___________________________________________________________________________
 
Valori italiani secondo
Geert Hofstede
(In rosso, i valori dei soggetti italiani descritti nello scenario qui sopra)
___________________________________________________________________________
 
High Individualism (IDV) = 76 (world = 64).   Nel nostro scenario = 45 (stima)
High
Uncertainty Avoidance (UAI) = 75   Nel nostro scenario = 85 (stima)
Somewhat high Masculinity (MAS) = 70   Nel nostro scenario = 55 (stima)
Relatively small Power Distance (PDI) (50)   Nel nostro scenario = 75 (stima)

 
___________________________________________________________________________


Naturalmente, queste poche indicazioni non esprimono il ricco intreccio di valori socioculturali che caratterizzano gli italiani di Italcontrollo, s.r.l., e che il lettore attento, che conosce la situazione italiana, avrà già intuito.  Ma per evitare di dilungare, non li espliciterò in questa sede;


(2)  la cultura egiziana, nella particolare realizzazione descritta nello scenario, ossia incarnata nei due alti funzionari provenienti dalla classe agiata di Cairo, insieme ai quattro ingegneri e ai dodici tecnici (quasi tutti controllori) provenienti dalla piccola e media borghesia meritocratica, tutti dal Cairo o dal hinterland (Masr-al-Atika, Bulaq) anche loro.  Possiamo illustrare sinteticamente i loro valori culturali specifici “aggiustando” i ben noti valori assegnati da Hofstede agli egiziani in generale:

___________________________________________________________________________

Valori egiziani secondo
Geert Hofstede
(In rosso, i valori dei soggetti egiziani secondo quanto rilevato
attraverso molteplici contatti personali, non esplicitati nello scenario)

___________________________________________________________________________

Low Individualism (IDV) = 38 (world = 64).   Nel nostro scenario = 25 (stima)
Fairly high Uncertainty Avoidance (UAI) = 68   Nel nostro scenario = 75 (stima)
Half and half Masculinity (MAS) = 52   Nel nostro scenario = 65 (stima)
Very large Power Distance (PDI) (80)   Nel nostro scenario = 90 (stima)
 

___________________________________________________________________________

 

 
 

TRATTI ESSENZIALI DELL'AFFIDABILITÀ IN QUESTO CONTESTO:  
La delegazione egiziana aveva bisogno di sapere la risposta a tre domande. (In realtà le domande erano molto di più perché riguardavano l'insieme dei comportamenti da tenere. Qui semplifico ed indico solo quelle che riguardavano l'affidabilità, l'oggetto della nostra ricerca.) Esse erano tre:

1. “Cosa vuol dire per i manager e per i tecnici di Italcontrollo fidarsi di noi?”
(Cioè, “In che cosa consiste il concetto di 'affidabilità' nella mente di italiani come loro?”)

2. ”Quali sono dunque gli indizi di affidabilità che vorranno rilevare in noi?”

3. “Come dobbiamo comportarci per corrispondere alle loro attese?”

La risposta fornita dal mediatore interculturale è stata la seguente:


PER QUESTI ITALIANI, L'AFFIDABILITÀ HA 5 TRATTI ESSENZIALI.    Quattro di questi tratti sono quelli di Delicone (Competence, Strength, Benevolence, Commitment). Uno si ritrova anche nella Matrix di David, ossia la “Predictability”; esso si impone in questa circostanza dati i pregiudizi verso il mondo islamico così diffusi in Italia oggi (e senz'altro presenti tra lo staff dell'azienda italiana in questione).

Dunque, per sembrare affidabile ed ispirare fiducia, la delegazione egiziana doveva comunicare (e nei fatti è riuscito a comunicare) ai loro interlocutori italiani di avere:


1. Competence, interpretata come: “Affrontarli!” I tecnici egiziani devono prendere subito di petto la diffidenza degli italiani e manifestare la buona preparazione tecnica che hanno avuto (ciò servirà anche ad alzare il livello delle lezioni).  Devono perciò sforzarsi, sin dalle prime lezioni, di essere intraprendenti (proactive), alzando la mano per chiedere spiegazioni particolareggiate, con terminologia molto precisa.  Devono cioè cambiare le abitudini culturali acquisite e, attraverso le simulazioni prima di venire in Italia, imparare a vedere un istruttore non come un maestro venerabile che va ascoltato passivamente per l'intera lezione, ma come un viaggiatore di ritorno da un pellegrinaggio, a cui coloro che vogliono fare lo stesso viaggio non esistano a fare mille domande.

I funzionari-dirigenti egiziani dovrebbero usare anche loro la strategia delle domande particolareggiate (anche preparate preventivamente), per dimostrare una sicura padronanza del settore.  E' vero che a fornire la tecnologia è l'Italia, quindi i negoziatori italiani non hanno bisogno di acquistare fiducia nelle competenze tecniche dei negoziatori egiziani.   Tuttavia i capi di Italcontrollo sono ingegneri e proveranno stima per chi sa parlare il loro linguaggio. 

Soprattutto i funzionari devono far valere le loro approfondite conoscenze della giurisprudenza del settore (obblighi contrattuali, penalità, ecc.) – ma senza sembrare “dare lezioni”.  Per fare ciò possono ricorrere alla tattica di fare racconti “spontanei” di forniture commissionate in passato in cui mettono in evidenza i principi giuridici del caso.


2. Strength, interpretata come: “Ergersi!” L'atteggiamento generale dei dirigenti egiziani, consapevoli della loro storia ancora più millenaria di quella italiana, dovrebbe essere di cordiale solennità, quella di un patriarca.  Ciò serve anche per impedire, durante i negoziati, qualsiasi tentativo da parte dei manager italiani di “buttarla sull'amichevole” .  L'amicizia in Italia, quella acquisita attraverso gli anni, è sacra; mentre quella manifestata all'istante negli incontri di affari è rischiosa: può servire poi per giustificare comportamenti faciloni.  La cordiale solennità, se necessario quello di un “don”, la bloccherà sul nascere. 

Nel fare le loro domande sugli apparecchi, i dirigenti egiziani dovrebbero assumere, di conseguenza, un tono diverso da quello usato dai tecnici – più da “verifica” di cose più o meno sapute. 

Alla “forma” (cioè, all'atteggiamento di autorevolezza appena descritto) bisogna dare “sostanza” (vale a dire, una dimostrazione di effettivi poteri politico-economici) documentando strette amicizie con le massime autorità governative egiziane del settore, con l'IMF per la garanzia sui finanziamenti, con le massime autorità religiose della regione dove sorgeranno i nuovi impianti turistici che l'aeroporto deve alimentare.



3. Benevolence, interpretata come: “Ammirarli!”
Il gesto più significativo che possa compiere la delegazione egiziana per comunicare una vera ammirazione per la cultura italiana, insieme al messaggio “siamo come voi”, è di imparare qualche cosa della lingua italiana: non tanto le espressioni comuni (grazie, bello, se Dio vuole, ecc.) quanto il modo di esprimersi.  Anche solo 10 lezioni possono dare risultati significativi.  Inoltre è quanto di meglio si possa fare per entrare subito nella mentalità dei futuri interlocutori.

Durante le visite informative dimostrare una conoscenza dei grandi momenti della storia italiana e anche una conoscenza particolareggiata della regione di provenienza dello specifico interlocutore, ad esempio professando ammirazione per i tesori d'arte del luogo (non possono non esserci, l'Italia ha l'80% dei tesori dell'arte del mondo). Mostrare di conoscere anche la situazione politica attuale, almeno a grandi linee, ma puntare sul locale anche qui: elogi per Roma, che è diventata la prima città d'Italia per crescita produttiva sia terziaria che agricola ed industriale ; elogi per la provincia di Roma, prima in Italia per numero di donne titolari di impresa (questo elogio scuoterà sicuramente gli italiani, convinti come sono che nessun musulmano vuole che le donne stiano fuori casa e tanto meno che comandino); elogi per la regione Lazio, prima in Italia per l'informatizzazione della popolazione e per investimenti in ricerca e sviluppo, ecc.  In sostanza, la mantra della delegazione egiziana durante le visite informative dovrebbe essere: “Tutti vorrebbero lavorare con Italcontrollo, perché azienda di punta in una zona di punta!”

4. Commitment, interpretata come: “Dimostratelo voi!” Prima di dare la propria fiducia, la delegazione italiana vorrà convincersi che gli egiziani non sono dei perditempo e che hanno una ferma volontà di concludere.  Siccome in un breve arco di tempo è impossibile dimostrare la buona fede, una tattica vincente potrebbe essere quella di passare al contrattacco.  Pertanto la mantra egiziana, durante i negoziati, diventerà: “Sì, tutti vorrebbero lavorare con Italcontrollo, perché azienda di punta in una zona di punta! E certamente anche noi, come testimonia la nostra delegazione al completo qui oggi e tutti i preparativi di cui abbiamo dato prova... quindi dateci la possibilità di farlo, non lasciateci a mani vuote.”  Per “dateci la possibilità” s'intende “venirci incontro sul prezzo”, “fateci concessioni sui tempi d'installazione”, ecc.

In altre parole, rovesciando i termini, la delegazione egiziana metterà la delegazione italiana nella necessità di dimostrare, facendo determinate concessioni, di essere davvero committed.  E' una tattica che usano spesso le mamme italiane soprattutto con i figli maschi, quindi i manager (tutti maschi) vi saranno sicuramente sensibili, ma proprio per questo bisogna usarla con cautela.

In quanto alla sostanza, portare una documentazione recente di appalti concessi (e pagati) in tempi brevi, oltre al business plan e relativi atti ufficiali.


5. Predictability, interpretata come: “Accontentarli!” Il pregiudizio più dannoso alla fiducia nella mente dei negoziatori italiani, quindi da eliminare prioritariamente, consiste nella credenza che i musulmani hanno sempre intenzioni non dichiarate (hidden agendas).  Come può la delegazione egiziana dimostrare il contrario Un anglosassone o un tedesco deve solo essere coerente nel tempo per apparire predictable; ma non un musulmano.  Del resto manca un lasso di tempo sufficientemente lungo.   Non serve nemmeno protestare di aver messo tutte le carte sul tavolo.  Come dimostrare di non avere carte nascoste se la controparte ha, pregiudizialmente, il sospetto che tu sei uno che usa sempre carte nascoste?

Una soluzione potrebbe essere di giocare di rimessa: lasciar pensare alla delegazione italiana che ci sono sì delle carte nascoste e giocare quelle tenute in mano in tal modo da lasciar indovinare quali siano.  (Gioco facile: gli italiani sono attentissimi osservatori.)  Una volta che la delegazione italiana avrà indovinato (o penserà di aver indovinato) le carte nascoste, si rasserenerà, considererà gli egiziani “predictable” e sarà pronta a dare propria fiducia.

Del resto, non è nemmeno necessario che la delegazione egiziana abbia veramente delle carte nascoste, può semplicemente inventarne un paio, anche banali (per esempio, il desiderio di chiudere il contratto sotto una certa cifra per prendere una promozione, o al contrario il desiderio di rimandare la chiusura un po' per poter tornare a Roma altre volte per vedere Totti all'Olimpico, o entrambi i desideri).  Stabilite quali sono queste carte nascoste, la delegazione egiziana deve solo aiutare quella italiana a scovarle, magari attraverso le chiacchiere al bar tra i tecnici delle due parti.  L'importante è che i due manager Italcontrollo finiscano col pensare, a proposito degli egiziani: “Ora abbiamo capito dove vogliono parere!”.  Così, per quanto musulmani, gli egiziani saranno diventati trasparenti e prevedibili.

 



Eccoli: 5 tratti in tutto per descrivere il concetto di affidabilità che soggiaceva (presumibilmente) nella mente dei manager e tecnici italiani, a cui la delegazione egiziana doveva cercare di venir incontro.

Non mi è sembrato necessario tirare in ballo gli altri tratti elencati nella Scheda 2 ma, naturalmente, posso sbagliarmi.  Forse servivano molto di più. Me lo direte voi.


Per curiosità, ho stilato anche una promemoria per futura utilizzazione, dei tratti essenziali dell'affidabilità per una mente egiziana e, quindi, dei comportamenti che, a mio avviso, i manager e i tecnici italiani del mio scenario avrebbero dovuto tenere (ma che hanno tenuto solo in parte), per instaurare un rapporto di fiducia ancora più solida.  Chi vuole vedere questa scheda, molto più sintetica di quella appena vista, deve solo cliccare qui:
SCHEDA PER LA DELEGAZIONE ITALIANA.



Avrete notato che, subito dopo ogni tratto di affidabilità, c'è una “parola d'ordine” che lo interpreta (“Affrontarli!”, “Ammirarli!”, ecc.). Queste “parole d'ordine” servono ai componenti della delegazione durante le trattative per segnalare sinteticamente tra di loro i comportamenti da tenere; ma servono anche ad illustrare il senso preciso di ogni tratto. Dire “mostrarsi forte” o “mostrarsi trasparente (predictable)” non vuol dire niente – il tutto sta nel capire come mostrarsi forte o trasparente in quella precisa situazione.  La “parola d'ordine” (in teoria) sintetizza quel modo.


Comunque, voi non dovete produrre schede come quella qui sopra, anche perché sicuramente usate altri metodi per consigliare ai vostri committenti come affrontare situazioni di comunicazione interculturale. Quello che io vi chiedo di scrivere è una breve scheda, una per ogni evento che volete raccontare, divisa in due parti.  Eccola:

 

 Il modello di scheda da mandarci 

1. Lo Scenario

Ho osservato la seguente interazione tra italiani e persone di un'altra cultura.
Si trattava di una situazione in cui occorreva almeno l'apparenza di affidabilità
tra le parti. Ecco i dettagli:”

Data: ________
Ente: _____________________   Ubicazione: __________________________
Attività: _______________________________________________________
Cultura dell'organizzazione: _________________________________________
Culture nazionali/etniche a contatto: ___________________________________
Interagenti: _____________________________________________________
______________________________________________________________
Tipo di i
nterazione osservato: ________________________________________
Lo svolgimento: sintesi, commento:_____________________________________
______________________________________________________________
______________________________________________________________
______________________________________________________________
 

2. L'Elenco dei tratti

In questa seconda parte, ipotizzerò in che cosa poteva consistere la nozione di
affidabilità SOLTANTO per gli ITALIANI del mio scenario.  Elencherò i tratti
e li s
piegherò tenendo conto del contesto specifico dello scenario.
 
 
Poi parlerò de
gli altri partecipanti: dirò quali loro comportamenti hanno potuto
dare l'impressione di possedere i tratti di affidabilità che ho elencato.
 
(Alternativamente, ipotizzerò i comportamenti che avrebbero potuto tenere per
sembrare di possedere questi tratti.  Oppure farò tutte e due le cose.)

1. Il primo tratto di affidabilità nella mente degli italiani dello scenario: _________
Ciò che significa questo tratto in questo preciso contesto:____________________
Il comportamento tenuto dagli altri partecipanti, rivelatore del tratto (nei fatti o per ipotesi):
______________________________________________________________
______________________________________________________________


2. Il secondo tratto di affidabilità nella mente degli italiani dello scenario: _______
Ciò che significa questo tratto in questo preciso contesto:____________________
Il comportamento tenuto dagli altri partecipanti, rivelatore del tratto (nei fatti o per ipotesi):
______________________________________________________________
______________________________________________________________

ecc.


Nome e cognome, indirizzo email dell'estensore           


Ecco tutto.
 
 

Mandate le vostre schede entro il 24 settembre, a:

Elio: Elio.Vera@cesma.org
David:
d.trickey@tco-international.com
e Patrick:
patrick@boylan.it



Un'ultima considerazione:

Forse qualcuno si sarà scandalizzato che, nell'esempio di “tratti di affidabilità” appena presentato nella scheda 7, certi comportamenti sembravano indicare tutto fuorché l'affidabilità.  Mi riferisco in particolare ai tratti Commitment e Predictability, per i quali il mediatore interculturale ha proposto il ricorso ad “espedienti” e quindi, in un certo senso, ad atti di disonestà.  Essere disonesti onde poter apparire onesti può sembrare il colmo!

Posso solo invitare chi si scandalizza a riflettere su cosa egli o lei intende realmente per “mediazione interculturale”.  A me sembra che le due schede appena presentate, quella per gli egiziani e (cliccando sul link) quella per gli italiani, consentano ad entrambi le parti di capirsi al meglio.  Invece ciò che certi consulenti – in particolare, anglosassoni – fanno passare per “training interculturale” a volte mi sembra soltanto un indottrinamento nei valori, appunto, del mondo anglosassone.  Per questi consulenti, insegnare “obiettivamente” ad un committente a presentarsi come “affidabile” vuol dire (per restare in tema) insegnargli ad essere “predictable” all'inglese e “committed” all'americana – un'operazione di imperialismo culturale, semmai ci fosse.  Invece io ho preferito adottare – per poi cercare di valorizzarle – le modalità comunicative degli interessati.
 
Bisogna comunque tenere presente che la scheda 7 descrive una interazione competitiva – donde l'inevitabile ricorso ad espedienti, quando servono, per averla vinta.  Invece nelle interazioni totalmente collaborative, non avrebbe senso usare espedienti per spuntarla sulla “controparte” perché non ci sono controparti.

Se, per esempio, in un'equipe multiculturale totalmente collaborativa sorgono problemi dovuti alla mancanza di fiducia tra i membri per via di incomprensioni interculturali (diversità negli stili comunicativi, diversità nel senso del tempo, ecc.), il mediatore interculturale non cercherà affatto di insegnare ai membri dell'equipe come dissimulare meglio, tramite espedienti, le loro diversità, né spingerà loro a cambiare necessariamente i loro modi di esprimersi e di ragionare.  Insegnerà invece a tutti i membri dell'equipe come interpretare, accettare e anche far proprie le diversità altrui, riconoscendole (almeno in nuce) in se stessi.
 

Nel testo già menzionato (qui), David accenna proprio ad una situazione del genere.  Per diagnosticare da dove veniva la sfiducia reciproca in un'equipe multiculturale, David ha costruito, sulla base di interviste, il profilo delle percezioni di carenze di affidabilità altrui. Come si vede qui a fianco, ci sono forti carenze di predictability, security, accessibility, compatibility, benevolence.
 
(Immaginate che la linea viola indica i contorni di una macchia d'olio.  Nelle zone che essa non raggiunge, scarseggia la qualità in questione o, piuttosto, la percezione della qualità in questione.)
 

Con la piena accettazione delle diversità culturali tra i membri dell'equipe, in teoria la macchia d'olio dovrebbe estendersi sull'intero cerchio.  Ciò significherebbe che i membri dell'equipe appaiono perfettamente affidabili gli uni agli altri, senza dover cambiare i loro modi abituali di agire (oppure cambiandoli nella misura in cui il mediatore riesca a portare tutti quanti a creare un terzo spazio di valori originali condivisi).  Un migliore rapporto di fiducia può dunque nascere tra di loro.


Bisogna chiedersi, tuttavia, se i rapporti tra i membri di equipe aziendali possono mai essere totalmente collaborativi, dato il clima competitivo (promozioni, bonus, favoritismi, ricatti, ecc.) e di “transitorietà” (v. la discussione alla fine della scheda 6) che regna nella maggior parte delle aziende, gestite con rigidi criteri neo-liberali.  Il senso comune dice invece che, in un ambiente del genere, pochi saranno veramente benevoli, trasparenti (predictable), aperti con le informazioni, inclusivi, ecc.; molti lo saranno solo in parte; ma tutti cercheranno sempre di apparire tale, qualcuno anche con espedienti.  In questo caso, il lavoro dei mediatori nelle equipe aziendali (e forse non solo) non potrà che essere lo stesso dei mediatori nei negoziati competitivi: quello di portare le parti almeno ad apparire affidabile, gli uni agli altri, per ottimizzare il flusso di informazioni e le sinergie creative.

Almeno è così che la vedo io.  Qualcuno ha delle osservazioni?



Passiamo ora alla terza domanda.

 
 
 
 

3. TERZA DOMANDA:  CI SARANNO DELLE COSTANTI NELLE SCHEDE RACCOLTE CHE CI CONSENTIRANNO DI “RAGGRUPPARLE” PER CATEGORIA?


Una volta raccolto i vari scenari+elenchi che voi vorrete inviare a Elio, a David e a me, possiamo incaricare una o due persone a leggere tutte le schede e vedere se emergono:

Se ce ne sono, la persona incaricata compilerà la relativa casistica. Inoltre, egli o lei dovrà trovare il modo di etichettare ogni tratto.  Infatti, abbiamo già detto che un tratto come “competente” ha diversi significati a seconda della situazione e questo va indicato.

A questo punto potremo dire di aver capito qualcosa sui “tratti essenziali di affidabilità” nelle diverse situazioni che si presentano Italia.  Inoltre, ci saremo creati un utilissimo strumento di lavoro. 

Bisognerà verificarlo, però. Possiamo farlo in due modi: chiedendo il parere degli operatori del settore e facendo delle sperimentazioni.

 
 
 
 

4.  QUARTA DOMANDA:  LA NOSTRA CASISTICA CORRISPONDE ALL'ESPERIENZA DEGLI OPERATORI DEL SETTORE?


La prima verifica è di tipo auctores: voi che siete in contatto con chi dirige equipe multiculturali negli enti e nelle aziende potete ottenere il parere di questi “esperti” facendoli vedere la nostra casistica.  Non tutta la casistica, naturalmente, ma solo la parte pertinente.

Ad esempio, se viene fuori che un determinato elenco di 8 tratti è stato quello più fabbricato per descrivere l'affidabilità nelle cooperative sociali dell'Italia del nord, coloro che sono in contatto con questi enti possono portare l'elenco di 8 tratti ai responsabili e discutere con loro la sua attendibilità prima facie (face validity).


Per questo avremo bisogno di volontari per costruire un questionario oppure una griglia per interviste aperte, in modo che le informazioni raccolte abbiano una certa coerenza.  David ha già fabbricato due questionari di questo tipo che potrebbero servirci da modello. Li farò circolare quando sarà il momento.
 
 
 
 
5.  QUINTA DOMANDA:  LA NOSTRA CASISTICA FUNZIONA NELLA VITA REALE?  AIUTA A DEFINIRE I COMPORTAMENTI DI AFFIDABILITÀ DA TENERE NEGLI INCONTRI INTERCULTURALI CHE REALMENTE AVVENGONO?


L'ultima fase della nostra ricerca è la verifica sperimentale sul campo.  Ma come per la domanda 4., quando sarà il momento manderò in giro uno schema su cui potremo discutere. 

 __________

 
Vorrei aggiungere, per concludere, che queste ultime due fasi non vadano assolutamente trascurate.  Lewicki et al. (2006: 1014) ci informano che su 119 misuratori di trust descritti nelle varie pubblicazioni scientifiche negli ultimi vent'anni, 108 sono stati usati una sola volta... dal proprio autore e basta!  Cioè, senza replica da parte di altri e senza nessuna convalida (quindi zero reliability e zero test validity).  Inoltre per 104 sui 119 indicatori non sono state fornite le prove che essi misuravano effettivamente le qualità che pretendevano di misurare (quindi zero construct validity).  Non solo, ma da quanto si può desumere, la stragrande maggioranza non è stata nemmeno sottoposta al parere di chi affronta questioni di trust nella vita reale (quindi zero face validity).


Siamo più seri!  (Visto come lavorano gli altri, non sarà difficile.)


Ecco tutto, è stato lungo, ma ho voluto essere esauriente. Spero che voi non siate esauriti!


A leggervi presto!


Patrick





 



     


BIBLIOGRAPHY (Partial - To be completed)



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